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La pubblicità e il terzo millennio

24/03/2006 48058 lettori
6 minuti

La pubblicità, sia che si avvalga di canali cosiddetti tradizionali o che venga proposta attraverso l'uso di reti telematiche, deve essere in grado di comunicare in modo efficace. Le modalità attraverso le quali attuare il processo comunicativo non possono essere codificate in maniera univoca. La complessità del linguaggio, le differenze culturali, i continui cambiamenti del gusto, rendono una codifica delle suddette regole impresa impossibile.

Tradizionalmente si tende a dividere l'approccio alla loro realizzazione in razionale ed emotivo. Il primo si basa sulla logica e pertanto punta ad evidenziare gli elementi positivi razionali, capaci di stimolare la scelta di un prodotto perché percepito come migliore o buono. L'approccio emotivo è emozionale e cerca di stimolare il registro dei sentimenti, delle emozioni enfatizzando i valori positivi della marca. E' fin d'ora importante sottolineare quanto incerti siano i confini tra un approccio ed un altro. E' difficile non riscontrare elementi emotivi in messaggi che pretendono di basarsi sulla sola razionalità e viceversa. La presente esposizione non ha pretesa di esaustività. La scelta di un metodo anzi che di un altro è dettata da una serie di considerazioni che variano da caso a caso. Raramente tali approcci vengono utilizzati singolarmente. Spesso i messaggi realizzati sono il frutto della combinazioni, talvolta involontarie, di più metodologie.

La razionalità adottata in pubblicità mira sostanzialmente ad evidenziare gli aspetti positivi e concreti del prodotto. L'approccio può tendere a supportare quanto pubblicizzato semplicemente mettendo in evidenza gli aspetti positivi che dal prodotto derivano al consumatore il quale viene informato in maniera diretta, quasi drastica. Un altro approccio che può essere seguito è quello della comparazione implicita o esplicita. Recentemente anche l'Italia ha recepito la direttiva comunitaria che ha dato il via libera a questo tipo di pubblicità, proibita nel nostro paese per lungo tempo e già in uso negli Stati Uniti. Un suddetto approccio mira a comparare, in modo più o meno diretto, due marche concorrenti operanti nello stesso settore merceologico. Generalmente il confronto avviene tra un 'gigante' del settore, il cosi detto leader, e il follower, spesso una marca molto più piccola. Il confronto, che può assumere toni più o meno eleganti, mira a mettere in evidenza i vantaggi che il follower può offrire rispetto allo strapotere di un leader che, caratterizzato dai grandi numeri, non è in grado di seguire con attenzione i desideri e i bisogni del consumatore. Generalmente l'attacco diretto viene sferzato dalla marca concorrente nei confronti della leader che risponde, in genere, solo per difesa.

Le ragioni di un attacco che spesso assume toni molto aspri, sono varie. Attaccare una marca leader può garantire alla follower della pubblicità per il solo fatto di essere inclusa nel 'duello', inoltre il rischio confusione tra attaccante e attaccato è molto più basso per una follower che non per la leader spesso riconoscibile anche con pochi elementi. E' bene precisare che un simile approccio non è esente da rischi per chi attacca. Superare una certa soglia può generare quell'effetto inibitorio che spinge il consumatore a schierarsi dalla parte della 'propria' marca. 'Infatti la critica alla propria marca sposta l'elaborazione in un'area ad elevato coinvolgimento, proprio come una minaccia al sé fisico, sociale o valoriale nel fear arouising appeal'[i]

Talvolta si adotta la tattica che mira a mettere in evidenza alcuni aspetti positivi dello sfidante, ma anche quelli negativi che, ovviamente, assumono un effetto maggiore dove non sono minori ne tanto meno correlati con quelli positivi. E' la cosiddetta argomentazione bilaterale. Non dissimile negli intenti è la strategia denominata open end ovvero la libera possibilità data al consumatore di trarre le proprie conclusioni che ovviamente saranno pilotate da quanto il messaggio ha esposto. Si tratta di un metodo efficace ma non esente da rischi. Bisogna infatti essere certi che il pubblico a cui ci si rivolge sia in grado di comprendere i rimandi espliciti e non che il messaggio vuole richiamare, onde evitarne la totale incomprensione.

Un interessante approccio adottato nella realizzazione dei messaggi, con chiaro intento razionale, è l'utilizzo dell'argomentazione cosiddetta a vaccino. Proprio come contro l'influenza viene iniettata una piccola dose del virus per stimolare la produzione di anticorpi, così è possibile vaccinare i consumatori, in particolare quelli affezionati alla marca, contro eventuali attacchi da parte di marche concorrenti. Anticipare opinioni, generare tesi, permette di creare una sorta di difesa preventiva nei confronti di possibili futuri attacchi da parte della concorrenza. Non dissimile all'argomentazione a vaccino è quella a confutazione diretta che richiama 'apertamente la tesi del concorrente per poi confutarla, senza limitarsi a sostenere solo la propria promessa.'[ii]

Interessante è infine l'argomentazione a cornice adottata anche in ambito politico. Attraverso una serie di affermazioni degli stessi concorrenti si cerca di 'incorniciarli' decontestualizzando quanto da loro detto al fine di negativizzarli.

Diversamente dall'approccio razionale quello emozionale non si affida ad una evidenza oggettiva, ma punta sul coinvolgimento empatico. Stimola la percezione di sensazioni piacevoli attraverso diversi canali che aiutano il consumatore ad entrare in sintonia con il messaggio e di conseguenza con il prodotto ad esso associato. Se da un lato un simile approccio è in grado di facilitare l'apprendimento in quanto il coinvolgimento emozionale diminuisce la necessità di elaborare, dall'altro lato, così come per l'approccio razionale, un uso eccessivo o banale del registro emozionale può ingenerare nel consumatore il rifiuto. Va detto che il pubblico è sempre più smaliziato ed attento, pertanto la percezione di un uso manipolatorio dei sentimenti oltre la soglia socialmente accettata fa scattare quei sentimenti negativi che sono deleteri per il marketing aziendale. Anche e soprattutto quando l'approccio adottato è quello emotivo, i confini tra una metodologia ed un'altra sono spesso molto incerti. In un contesto sociale caratterizzato dall'incertezza, dalla crisi economica, dalla guerra, probabilmente la chiave di volta è l'ottimismo, l'uso delle emozioni positive. Il registro emozionale assume un'importanza sempre maggiore, mutando nel corso del tempo. Il consumatore è cresciuto, ha capacità selettive ed è estremamente esigente. Il processo di globalizzazione produttiva, l'omologazione merceologica disorientano il consumatore. Di fronte ad un’offerta elevata, si cerca la qualità. La pubblicità deve aiutare nelle scelte comunicando in modo innovativo. Ma non basta proporre un buon prodotto, occorre sostenerlo con un'esperienza di valori. Il terzo millennio è arrivato senza l'apocalisse da molti prospettata, il futuro è arrivato. E' cambiato quell'ottimismo ingenuo a cui molti si aggrappavano. Oggi rimane una rinnovata consapevolezza, una visione introspettiva, intimista della vita e del mondo, del desiderio di sognare, forse unica vera fonte a cui attingere.

La drammatizzazione è tra i metodi più utilizzati in pubblicità, in quanto capace di coinvolgere lo spettatore all'interno di una situazione grazie all'interpretazione di attori. Partecipare al dramma rappresentato, coinvolge lo spettatore a tal punto dal portarlo a vivere la storia e ad identificarsi ad un sempre più alto livello emotivo. La drammatizzazione comporta vantaggi e svantaggi che sono quelli che l'uso del registro emotivo porta con se. Un elevato coinvolgimento dello spettatore se da un lato inibisce le sue controargomentazioni riducendo le sue resistenze, dall'altro possono distrarre eccessivamente allontanandolo a rischio di un costo più elevato.

Spesso si fa ricorso ad un'arma che potremmo definire di matrice prettamente anglossassone che è lo humor. 'Possiamo definire lo humor come la creazione di una storia che può essere letta alternativamente a due livelli opposti, come reale ed irreale o quotidiano ed insolito'[iii].

L'incongruenza che si genera può sfociare nella comicità o nell'ironia a seconda che sia grossolana o sofisticata. Il pubblico deve sentirsi coinvolto senza la minima attenzione oppure deve crearsi delle aspettative circa il significato e poi farsi sorprendere da un altro significato, diverso incongruo, inaspettato ma apparentemente del tutto normale[iv].

Anche in questo caso i vantaggi sono notevoli. La creazione di una sorta di gioco con il pubblico, oltre a gratificarlo, lo costringe a mantenere l'attenzione viva e a ridurre le inibizioni nei confronti della marca. La difficoltà maggiori si incontrano nella facilità con cui si può superare il limite della comprensione , dell'abuso o addirittura nell'eccessiva semplicità del messaggio. Da un punto di vista economico, come d'altronde per tutto il soft selling , l'efficacia dello strumento è affidata al lungo periodo con elevati costi.

Quasi sempre, purché si tratti di pubblicità operante su mezzi diversi dalla carta stampata, si fa uso di un registro sonoro che può comprendere dei suoni o rumorii di sottofondo o una vera e propria colonna sonora originale o non. L'importanza rivestita dalla musica è notevole e in molti casi l'associazione ad una campagna pubblicitaria ha generato il successo del prodotto. In alcuni casi si è addirittura arrivati all’identificazione del brano con il prodotto e viceversa. La scelta del brano musicale diventa quindi molto importante sia che si tratti di un pezzo originale, il cosiddetto jingle, sia che si peschi dalle classifiche, come accade spesso per gli spot sulla telefonia, o a brani del repertorio classico, ripresi nel versione originale o 'adattati' modificandone la parte testuale. La funzione assolta dalla musica quindi può essere di semplice sottofondo quasi impercettibile, oppure può avere un ruolo drammatizzante nell'accentuare e risaltare i momenti fondamentali dello spot o ancora esserne parte fondamentale, quasi invasiva accompagnando le immagine montate sul filo del registro ritmico. Interessante sarebbe verificare l'efficacia del silenzio. La sua capacità di attenzione sarebbe legata esclusivamente al sovraffollamento pubblicitario ed avrebbe probabilmente lo stesso impatto del foglio bianco sulla carta stampata. Un esempio concreto di uso sapiente del silenzio ci è stato offerto dalla campagna pubblicitaria della pasta Agnesi. Il claim recitava, dopo un lungo silenzio in cui i commensali gustavano la pasta, “silenzio parla Agnesi”. Lo spot ideato da Roberto Gorla che è valso all’Italia uno dei pochi leoni d’oro al festival di Cannes, si basava su una semplice ed efficace idea, in grado di catturare l’attenzione dello spettatore con i suoi secondi di silenzio e perfettamente in linea con il discorso di brand awarness.

Si è accennato al fear arousing appeal per intendere la paura di un pericolo al proprio se sociale. La pubblicità utilizza questo genere di sentimenti sfruttando l'ansia che taluni messaggi possono generare sul destinatario. Tecnicamente si tratta di suscitare l'ansia o la paura di essere colpiti da un evento negativo per poi offrirne la soluzione ottimale . Instillare l'ansia e subito offrire la soluzione. L'efficacia del sistema è legata al non superamento di quella soglia che automaticamente spinge il destinatario nell'area del rifiuto.

Talvolta la pubblicità genera irritazione. Alcuni argomenti sono potenzialmente irritanti e una certa loro collocazione temporale oltre che rappresentazione possono generare fastidio nel pubblico. Talvolta l'eccesso è studiato ad arte e la provocazione ha lo scopo di indurre un ricordo più stabile. Talvolta l'irritazione è dovuta ad una caratteristica del 'brand character' che si presenta come anticonvenzionale proponendosi come provocatorio.

Esattamente all'opposto dell'irritazione è l'uso dei sentimenti cosi detti nobili. Indurre nel destinatario del messaggio sentimenti di orgoglio, coraggio, altruismo. Sentimenti che avvicinano, rendono partecipi, toccano le corde più sensibili e che trasferiscono i benefit alla marca. L'utilizzo poi di bambini o cuccioli o situazioni in cui il calore affettivo predomina, abbassa le difese e coinvolge.

Occorre infine citare la figura dell'endouser. Potrebbe essere altrimenti definito il garante, colui che grazie alla popolarità acquisita nei confronti del pubblico per diverse ragioni, trasferisce o dovrebbe trasferire l'autorevolezza o la popolarità sulla marca che si fa carico di pubblicizzare. L'uso del testimonial è probabilmente uno degli strumenti più usati ed abusati della pubblicità. Teoricamente l'utilizzo del personaggio dovrebbe essere correlato al prodotto, nel senso che un efficace trasferimento di popolarità si dovrebbe verificare quando l'endouser svolge un'attività che gli da l'autorevolezza necessaria per garantire il prodotto ed è pertanto definito testimonial vero e proprio. Quando il prodotto è affiancato ad un personaggio in ragione della sua popolarità, senza una diretta relazione con lo stesso, parliamo di influente. L'attenzione dei pubblicitari, come riporta V.Codeluppi nel suo Iperpubblicità, sembra rivolta verso quei personaggi in perfetta sintonia con il prodotto, in grado di trasferire notorietà alla marca. Operazione tuttavia non esente da rischi. In tempi di continua ricerca dello scandalo massmediatico, il rischio è la compromissione del brand, come è successo a personaggi come M.Jackson, Madonna e W.Allen per citarne alcuni[1].Talvolta basta la popolarità del personaggio a trasferire sulla marca i benefits richiesti. E' il caso di Mike Bongiorno. Il popolare presentatore è stato in grado di utilizzare quell'immagine disincantata e un po’ ingenua per reclamizzare con enorme successo prodotti alimentari in contesti televisivi del tutto estranei. Spesso accade che uno stesso personaggio inflazioni la sua immagine sponsorizzando prodotti completamente eterogenei o addirittura concorrenti, contemporaneamente. E' uno dei casi in cui emerge la figura del 'testimonial debole'. La sua debolezza può essere determinata anche dall'incapacità di sostituire personaggi usurati ma con alle spalle un grande successo, o personaggi assolutamente infedeli alla marca. L'utilizzo di un testimonial in pubblicità, dunque si presenta spesso come una facile scappatoia, ma a volte non lo è. Comporta di doversi impegnare in una scelta il cui successo non è assolutamente garantito, perché capita anche di incappare in 'testimonial deboli'[2].



[1] Cfr.VANNI CODELUPPI, Iperpubblicità, F.Angeli, Milano, 2000, p.48.

[2] Cfr. ididem, p.144.



[i] Cfr. Marco Lombardi ( a cura di ), Manuale di tecniche pubblicitarie, Franco Angeli, Milano 1999, p.193.

[ii] Cfr. Ibidem, p.194.

[iii] Cfr. ibidem, p.200.

[iv] Cfr. ibidem, p.201.

Massimiliano Melis
Massimiliano Melis

Sono laureato in Economia e Commercio ed in Sociologia-Comunicazione e mass media con una tesi dal titolo "La pubblicità digitale. Evoluzione del messaggio pubblicitario nell'era Internet", ho frequentato un master in e-commerce and Internet marketing e corsi di CRM, Marketing relazionale e Business English presso l'Oxford House College di Londra. Ho inoltre diverse specializzazioni in Public Speaking. Mi sono sempre interessato alle problematiche legate alla comunicazione ed in particolare a quella commerciale. Attualmente, oltre alla attività di Commercialista e Revisore dei conti, mi occupo di formazione nell'ambito della comunicazione interpersonale, public speaking e marketing relazionale. Collaboro inoltre con un'ente provinciale in qualità di esperto di Marketing e Comunicazione. Ho curato diverse campagne di comunicazione politica. Tra i vari interessi ( forse troppi )una passione carnale per i viaggi e il musical!