Il Nobel e il Teatro. Dario Fo Ospite del ComuniCattivo.
“In estate a Pesaro porterò in scena ‘L’italiano in Algeri’”
“Non amo per niente i reality televisivi. Mi sembrano stupidi, vuoti, bassi e molte volte estremamente volgari”
“Non mi dispiace morire, mi dispiacerà non più vivere”
Venerdì 23 marzo alle 15.35 su Radio 1 Rai, Dario Fo è stato l’ospite del “Confessionale del ComuniCattivo”, programma sui linguaggi della comunicazione ideato e condotto da Igor Righetti.
Ecco un estratto dell'intervista.
Ottant’anni. Un traguardo o soltanto una tappa?
Speriamo che sia entrambi. Traguardo vuole dire che non andiamo più oltre e ci mettiamo a riposare. Tappa invece vuol dire che si procede e io spero che si proceda ancora. Mi piace troppo stare al mondo.
Quanto di ciò che hai avuto dalla vita è dipeso dalla fortuna e quanto da te?
Io sono stato fortunato, sono nato davvero con la camicia e non è un soltanto un modo di dire ma un fatto determinante. Ho avuto la fortuna di poter realizzare tutto quello che sognavo di voler avere dalla vita. Volevo fare il pittore e l’ho fatto, poi a un certo punto volevo anche recitare e l’ho fatto. Ho avuto la possibilità di frequentare l’Accademia di Brera e il Politecnico e anche questo mi è riuscito. Ho smesso cose che non mi interessavano più, ho cambiato forma, modo e modello e continuo sempre a cambiare. Tengo lezioni sulla pittura, sulla scultura, sull’architettura, vado a inventarmi i carnevali, mi interesso di politica. Insomma sono uno che non sta mai fermo e mi fa bene. Essere sempre in pista è un vantaggio enorme.
Hai vissuto in prima linea gli anni turbolenti della nostra democrazia…
Tutti e con rischio. Ma questo fa parte del gioco. Credo che coloro che non corrono pericoli, non devono fare fatica, non si ritrovano a cominciare d’accapo, non abbiano tensione e incisività sulle cose che realizzano.
Rifaresti tutto?
Non voglio un’altra vita. Ma che scherziamo? Dove la trovo un’altra così intensa e così bella? Ho avuto la fortuna di sposare una donna intelligente e viva che mi ha seguito e che mi ha insegnato un sacco di cose, che non mi perdona mai gli errori. Ed è lì la straordinaria fortuna: essere tirati via con una severità importante dagli errori che si compiono.
Tu e la tua famiglia avete pagato un duro prezzo per difendere i vostri ideali. Ne è valsa la pena?
Ma certo che ne è valsa. Perché è quello che devi pagare per poter realizzare un minimo momento di civiltà e democrazia. Devi sempre pagare qualche cosa, se non sei disposto a farlo vuol dire che non sei disposto a vivere le situazioni positive.
Che cosa pensi della politica attuale?
Non penso gran bene. Penso che ci si dimentichi spesso della funzione che deve avere un politico verso la società. Molte volte i politici si dimenticano che fare la politica non vuol dire trovarsi nei posti di comando, gestire un successo, realizzare un momento di prestigio nella vita. È determinante il fatto di servire le persone che hanno bisogno, quelle che vengono schiacciate, mortificate, umiliate, derubate. Ecco arrivare in soccorso e non accettare che si segua questa chiave è il dovere principale di uno che fa la politica.
Rimpianti?
No, nessuno perché è talmente sfacciata la fortuna che ho avuto che non posso rimpiangere cose che non sono avvenute. Anzi ne ho avute fin troppe, certe volte annegavo quasi nella fortuna.
Di che cosa hai paura?
Non sono uno che ha paura normalmente, sono stato anche incosciente. Mi sono sempre buttato senza neanche quasi verificare o calcolare il pericolo che correvo e quindi paura non ne ho. L’unica cosa che ho è un dispiacere, quello verso il giorno in cui dovrò lasciare questo mondo. Non è che mi dispiace morire, mi dispiacerà non più vivere.
Cinema, televisione, teatro, letteratura. Quale forma di comunicazione ti appassiona di più?
Sono uno dentro l’altro, sono concomitanti e innestati in una specie di composizione determinante. È come chiedere se è più importante avere il tetto, la base, la finestra, sono tutte parti di uno stesso monumento. Io sono nato pittore, ma amavo moltissimo recitare, non sono nato architetto e non lo sono mai diventato, amo disegnare i costumi, inventare le scenografie e amo raccontare la storia dei grandi pittori e dei grandi artisti del mio Paese.
Sei stato insignito del premio Nobel per il tuo linguaggio incomprensibile ma altamente comunicativo. A leggere così può sembrare una contraddizione in termini. In realtà il tuo è un linguaggio che si esprime con il corpo più che con la parola. Ma riesci a comunicare in eguale misura al popolo e agli acculturati?
Una delle cose che mi sorprendono sempre è quando vado all’estero, mi metto a fingere di parlare la loro lingua e loro a sorpresa mi capiscono. Ed è una lingua che non conosco. È un modo di sollecitare l’immaginazione e la fantasia più che la scrittura per se stessi.
Quanto è contato il sodalizio con tua moglie, Franca Rame?
È stato fondamentale. Dico la verità: se non avessi avuto come compagna Franca non sarei riuscito ad arrivare al Nobel.
Sei nato da una famiglia modesta eppure hai frequentato l’Accademia di Brera e hai studiato architettura al Politecnico. Chi o che cosa ti motivava?
Prima di tutto il piacere enorme di sapere, di conoscere ed è un piacere che cerco sempre di proiettare nelle persone che mi sono vicine come i figli, i nipoti, gli amici, i ragazzi. Io credo che la ragione per cui ci siano tanti ragazzi che vengano verso di me e mi dimostrano affetto e curiosità sia proprio questo: il fatto di produrre in loro il piacere di scoprire cose nuove che normalmente si nascondono sia per censura, sia per ipocrisia e imbecillità.
La creatività è innata?
Certo che c’è una parte importante in ognuno di noi di creatività che è dentro il Dna. La gioia di creare, di inventare, di avere fantasia e sollecitarla è una chiave determinante e fondamentale del nostro essere.
Che cosa pensi dei reality televisivi?
Non li amo per niente, mi sembrano così stupidi, così vuoti, così bassi e molte volte estremamente volgari.
E della tv trash?
Non amo queste forme di arraffo e di speculazione sulla poca intelligenza della gente.
Che cos’è per te la tv trash?
Approfittare della poca vivacità e scaltrezza del pubblico.
Quale personaggio della tv butteresti dalla torre?
Non voglio buttare nessuno dalla torre per poi vederlo spiaccicato al fondo e poi sentirti dire che si è buttato da solo.
E quale salveresti?
Sicuramente porterei in alto tutti coloro che non pensano soltanto a se stessi ma alla comunità. Che pensano di regalare quello che sanno e quello che hanno a coloro che ne hanno bisogno. Io ho avuto maestri e professori eccezionali che mi hanno insegnato l’abc della generosità.
Sei riuscito a superare persino un ictus. Che cos’è che ti dà tanta forza?
In questo caso era l’affetto degli altri e lo slancio che dimostravano un aiuto nel determinarmi la solidarietà. E questa è fondamentale nel rapporto tra gli uomini e le donne.
Credi nell’amicizia?
Sì, è una cosa importante che è sempre legata a un fatto di grossa affettività cioè l’amore. L’amicizia non si può staccare dall’amore.
Chi sono i tuoi amici più cari?
Sono quelli coi quali posso discutere, che mi mettono magari in crisi, che non soltanto mi dicono cose buone e gentili sui miei lavori, ma hanno anche il coraggio di indicarmi uno sbaglio quando sto andando per una tangente non corretta. Cioè coloro che vivono in onestà e in sincerità la mia vita e anche la loro.
A chi o a che cosa fai ricorso quando sei giù di umore?
Se sono giù normalmente vado a dormire. Non mi piace produrre agli altri e a quelli che mi stanno vicino la sensazione di negatività. Mi piace trattare con la gente e subito produrre un gioco, un’eccitazione, una giocondità. Quando sono triste cerco di scantonare oppure mi metto a camminare. E quando sono ragazzo correvo moltissimo. Sono stato un podista di notevole valore, ero uno dei più veloci d’Italia. Ho fatto persino un film che era “Lo svitato”, un personaggio che correva sempre tanto nella gioia quanto nel dolore. Correva per andare contro il tempo e superare attraverso la corsa ogni malinconia.
Quali sono le tue manie?
Ne ho tante, soprattutto la mania di poter leggere e trascrivere le cose, i fatti, la storia. Quando leggo un testo di storia vado subito alla ricerca di tutto ciò che può verificare l’autenticità e la credibilità di quello che leggo. E questa è un’ossessione che mi porta anche grandi vantaggi.
Qual è il tuo sogno di società?
Una società fatta di vantaggi che collaborano l’un l’altro verso un bene comune e non individuale.
Progetti?
Ne ho tanti. In questo momento sto facendo un lavoro su alcuni pittori: Giotto, Correggio, Piero della Francesca. Vado avanti ancora con altri pittori che sto studiando per poter raccontare in piazza, a teatro, quella che era la loro vita alla gente che vive con queste opere vicino. Quest’estate a Pesaro metterò in scena “L’italiano in Algeri”. Sono tante le sollecitazioni a fare che non ho il tempo e mi dispiace. Quando mi dicono “cento di questi anni!” io rispondo “sono pochi non bastano, dammene qualcuno in più!”.