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L'innovazione. Cos'è? Si mangia? Anche!

15/07/2006 8501 lettori
5 minuti
Negli ultimi 5 anni si è spesso parlato di "innovazione" e della irrimandabile ormai necessità di innovare nel nostro Paese.
A proclami ed invocazioni (da più ambienti) però, sostanzialmente, è cambiato poco.
Talvolta il monito (agli altri) a rimboccarsi le maniche veniva proprio da chi, operando nelle cosiddette "stanze dei bottoni", aveva già gli strumenti ed il potere per dare l'incipit al cambiamento, nonchè il buon esempio. 
 
Anche certe liberalizzazioni, che tanto fanno discutere in questa calda estate 2006, potrebbero contribuire allo svecchiamento graduale del sistema, ma da sole non bastano.
 
Le aziende, ad esempio, guardando con occhio critico al proprio presente, possono costruire il loro futuro e stabilire con le proprie forze se e quali successi conseguire.
Talvolta la possibilità di innovare è proprio lì sotto gli occhi, ma non la si vuol vedere. Questo accade quando un prodotto diventa obsoleto o sta per diventarlo perchè all'orizzonte si profilano nuovi brevetti, nuovi materiali, formulazioni etc. e, anacronisticamente, c'è chi preferisce crogiolarsi negli splendori del passato invece di lasciare (o solo modificare il percorso) della vecchia via.
 
Basta osservare con attenzione il quotidiano per trarre esempi alla portata di tutti.
 
L'industria alimentare moderna è quella che sa percepire le ultime tendenze in fatto di salute e benessere, nonchè le linee guida dettate dalle recenti scoperte scientifiche in materia di sana alimentazione, prevedendo le esigenze e i desideri del mercato/del consumatore.
Al contrario, quei prodotti che vengono proposti ancora con gli stessi ingredienti in quantità al limite della salubrità (es. materie prime che favoriscono l'insorgenza di malattie cardiovascolari, colesterolo alto, ipertensione) o conservanti di 30 anni fa sono destinati a sparire dagli scaffali dei negozi, perchè accuratamente evitati dagli acquirenti, sempre più informati ed accorti.
Per quest'ultima categoria di prodotti sopra citata, le aziende perseverano nel far leva invece sul valore affettivo del brand magari "storico", anche sulle giovani generazioni di consumatori che non percepiscono certe evocazioni e sono più critiche nell'approccio all'acquisto.