Sulla fotogenia della pastasciutta
Incontro con Neva Murador (art director) e Giulia Romanelli (food stylist)Perché compero di continuo buste di pastasciutte liofilizzate (quelle che basta aggiungerci mezzo litro d’acqua e far bollire, per intenderci) e poi ogni volta che tento di cucinarle mi ritrovo, sconsolata, a gettare tutto nel cestino? Perché nella pubblicità sembra così facile tirare fuori da quelle buste piatti da gourmet, e io invece non riesco nemmeno a capire se sto preparando una carbonara o un’arrabbiata? Oggi ho scoperto che la mia incapacità non è l’unica e sola responsabile…
Infatti oggi, presso il Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna, si è tenuto un incontro, dal titolo “Mangiarselo con gli occhi”, con l’art director Neva Murador e la food stylist Giulia Romanelli, che ci hanno raccontato come si allestisce un set fotografico per la pubblicità di prodotti alimentari. Compito del food stylist è quello di rendere il più possibile appetitoso e invogliante (per gli occhi) il prodotto alimentare rappresentato nel visual della pubblicità. Giulia Romanelli ci spiega che nel 99% dei casi parte dal prodotto alimentare vero, che però poi sottopone a manipolazioni tali da renderlo, sì, bello da vedere, ma soprattutto immangiabile!
Nella sua “cassetta degli attrezzi”, a fianco alla batteria da cucina, trovano infatti posto bisturi e pinzette da chirurgo, pennelli, coloranti alimentari e tempere, colla (usata, ad esempio, per mantenere compatte le carni a fibra larga)… Nel restante 1% dei casi rientrano le cotolette alla milanese, quelle meravigliose bistecche che ci ammiccano dagli schermi, ma che in realtà sono fatte di polenta, quando va bene, oppure di balsa.
Romanelli ci racconta poi che quando le immagini pubblicitarie venivano realizzate ancora senza l’ausilio del computer, per creare effetti particolari ci si arrangiava artigianalmente con i mezzi a disposizione: ad esempio, per dare l’impressione che una pagnotta se ne stesse sospesa in aria si ricorreva ad invisibili fili di tungsteno. Oggi, invece, l’immagine finale è ottenuta mediante l’assemblaggio al computer di quattro o cinque foto distinte; a questo proposito, Neva Murador ci spiega che l’immagine della forchettata di pasta presente sulle confezioni di una nota azienda è stata ottenuta mediante l’assemblaggio di una foto rappresentante la forchetta, una rappresentante la pasta senza condimento e un’altra rappresentante il condimento.
Le immagini legate a questa marca sono immagini molto “pulite”, minimali, perché quello che si vuole ottenere è un effetto estetico più che appetitoso; ci sono invece altre aziende che ricercano un maggiore coinvolgimento emotivo da parte del consumatore, e quindi optano per immagini più “ricche”. Murador fa però notare che nel ritocco al computer la fotografia originale può essere modificata a tal punto da perdere le sue caratteristiche peculiari e diventare molto più simile ad un’illustrazione. Nella pubblicità di prodotti alimentari ci sono poi mode e tabù: al giorno d’oggi, è di moda far entrare nell’immagine pubblicitaria la rucola, è tabù rappresentare l’untuosità, cioè il grasso. Romanelli si ricorda di una pubblicità per la quale le è stato richiesto di preparare un piatto di pasta condita con calamari e polipetti, ma con la raccomandazione di evitare di far vedere i tentacoli, che danno tanto l’idea di “bestialità”.
Insomma, le immagini di manicaretti e intingoli che la pubblicità continua a proporci all’ora di cena (quando magari noi abbiamo davanti solo un brodino vegetale) non sono altro che abilissime finzioni sceniche: nessun pubblicitario, a seduta fotografica finita, avrebbe mai il coraggio di mangiarseli!
Gloria Pericoli