D: Benvenuto al Dr. Francesco Di Nocera, ricercatore dell'Università
di Roma "La Sapienza". Qual è il suo settore di ricerca?
R: Personalmente sono molto interessato ai meccanismi di genesi dell'errore
umano, alla misura del carico di lavoro mentale e agli effetti indesiderati
dell'automazione, però nel Laboratorio di Ergonomia Cognitiva del
Dipartimento di Psicologia, dove svolgo la mia attività di ricerca,
coesistono più anime. Siamo un gruppo variegato per interessi e
competenze e ciò fa molto bene alla ricerca. Ci occupiamo delle
basi cognitive dell'interazione individuo-tecnologie e, al contempo, molta
ricerca che facciamo è veramente "di base".
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D: Quindi non tutto quello che fate è orientato all'applicazione.
R: Diciamo che tutto quello che facciamo costituisce una base per delle
applicazioni. Per alcune ricerche ciò è molto evidente,
mentre per altre lo è meno. D'altra parte, non è possibile
comprendere perché le persone commettono errori interagendo con
sistemi multi-display (come quelli impiegati nelle centrali nucleari,
ad esempio), senza avere delle conoscenze adeguate sul modo in cui l'attenzione
viene spostata nello spazio. In ogni caso, direi che il mio settore di
ricerca (e di applicazione) è quello dell'ergonomia cognitiva.
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D: Ci può dire in due parole cos'è l'ergonomia?
R: L'ergonomia è la scienza che si occupa dell'uomo al lavoro,
anche se il termine lavoro deve essere inteso in senso molto generale
e, ai giorni nostri, deve includere qualsiasi attività svolta dagli
esseri umani. Tempo fa, la distinzione tra attività lavorative
e ricreative era netta. Oggi le cose non sono così semplici: spesso
ci capita di utilizzare i medesimi strumenti per svolgere il lavoro propriamente
detto, per lo svago, per la conduzione della casa, ecc. La diffusione
del personal computer prima, e di Internet poi, hanno reso molto evidente
questa sovrapposizione.
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D: La parola ergonomia mi fa venire in mente una sedia …
R: Spesso il termine ergonomia viene associato alla comodità (comfort),
oppure alla facilità d'uso (ease of use). Si tratta, tuttavia,
di definizioni molto superficiali e poco rappresentative della complessità
di questo settore che è, e rimane, fondamentalmente interdisciplinare.
Diciamo che l'ergonomia può assumere significati differenti in
funzione 1) degli obiettivi specifici che si pone il ricercatore o il
progettista e 2) della componente disciplinare più utile per il
raggiungimento di quegli obiettivi. Ad esempio, se il mio scopo è
quello di rendere usabile il software per la gestione delle funzioni di
un telefono cellulare, avrò la necessità di individuare
la migliore organizzazione gerarchica di quelle funzioni. Naturalmente,
ciò non ha niente a che vedere con la "comodità"
nel senso fisico del termine, ma riguarderà i processi cognitivi
dell'utente, il suo modo di rappresentarsi il menu delle funzioni. In
questo senso, sarà l'ergonomia cognitiva ad assumere un ruolo fondamentale
nella progettazione. Al contrario, se il mio scopo è quello di
progettare un auricolare per il telefono dovrò soprattutto fare
riferimento ad aspetti antropometrici, per assicurare la comodità
e la facilità d'uso del sistema.
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D: Quindi l'ergonomia cognitiva è diversa dall'ergonomia?
R: In generale, possiamo dire che l'ergonomia cognitiva sta all'ergonomia,
come la mente sta al corpo. Sedendoci sulla nostra poltrona "ergonomica",
sentiamo di star comodi perché chi l'ha disegnata ha tenuto conto
del fatto che il corpo di un individuo è fatto in un certo modo
e necessita di alcune sollecitazioni, ma non di altre. Allo stesso modo
sarebbe auspicabile una progettazione che tenga conto anche del nostro
modo di percepire, pensare, prendere decisioni, ecc.
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D: Può fare un esempio?
R: Certo. Un esempio concreto, e molto noto in questo settore, è
quello dei fornelli da cucina. Poche case produttrici hanno realizzato
piani di cottura in cui la disposizione delle manopole fosse identica
a quella dei fornelli. In Psicologia, chiamiamo questa corrispondenza
"mapping coerente" (consistent mapping) e da anni sappiamo che
agevola l'esecuzione di un compito e riduce gli errori. La conseguenza
di questa "svista" del progettista è che, anche dopo
un uso prolungato del piano di cottura, ci si sbaglia e si utilizzano
le manopole sbagliate. A me capita regolarmente! Naturalmente, non ci
sono conseguenze disastrose per questo errore, perché la presenza
della fiamma costituisce un feedback molto evidente. Ma ci sono altri
casi in cui lo stesso errore potrebbe costar caro.
Un altro esempio classico è il passaggio dai sistemi a riga di
comando alle interfacce basate sulle icone. Quando la Apple uscì
sul mercato con il primo sistema a icone rivoluzionò sia l'industria
informatica, sia il modo di usare gli strumenti informatici. Quella fu
una geniale applicazione delle conoscenze acquisite nel campo della psicologia
cognitiva.
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D: Cosa possono fare i progettisti per evitare questi errori?
R: Avere consapevolezza dei propri limiti in quanto designer e dei limiti
degli utenti in quanto esseri umani. Questo è un punto importante
e ci tengo a sottolinearlo: nessun progettista con un po' di buon senso
progetterebbe una sedia alta due metri, perché sarebbe in evidente
contrasto con i limiti fisici dei futuri utilizzatori. Alcuni limiti cognitivi,
invece, sono meno evidenti al progettista, perché non ha una formazione
psicologica. Senza contare che il progettista fa riferimento alle sue
abilità, perché è lui il primo a testare la tecnologia
che progetta. Questo significa che se l'utente a cui è destinato
il prodotto non possiede le stesse conoscenze del designer (e ciò
costituisce la norma), il prodotto non risulterà usabile.
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D: Quanto è diffuso il cattivo design?
R: Spesso mi capita di imbattermi in interfacce che sembrano essere state
progettate senza il minimo buon senso. Mi domando se il designer che ne
è responsabile abbia potuto veramente credere che fossero funzionali.
Siamo abituati a discutere di guidelines e valutazioni di usabilità
fatte da grandi aziende, ma la verità è che c'è tanto
"sommerso". Se la Sony o la IBM, tanto per fare dei nomi, mettessero
oggi sul mercato della tecnologia scarsamente usabile, sarebbero bersagliate
da uno stuolo di ricercatori, esperti, commentatori, ecc. Al contrario,
chi si interessa del sito Internet realizzato da un anonimo designer per
il comune x, oppure per la piccola azienda y?
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D: Parlando di comunicazione, anche per un manifesto, una pubblicità,
un qualsiasi layout possiamo parlare di ergonomia?
R: Certamente. Per quanto questo non sia esattamente il mio settore, conosco
ricercatori che utilizzano lo studio dei movimenti oculari per verificare
l'efficacia di spot televisivi e manifesti pubblicitari. Lo studio delle
strategie degli utenti può quindi essere di aiuto anche agli esperti
di comunicazione. Gli oggetti comunicano qualcosa alle persone e le persone
hanno delle aspettative su come si "comporteranno" gli oggetti.
Peraltro, la tecnologia coinvolge oggi anche la pubblicità, basti
pensare alla presenza di banner sui siti Internet. A questo proposito
mi viene in mente un interessante studio su questo argomento in cui gli
autori hanno dimostrato che gli utenti Internet hanno ormai sviluppato
strategie cognitive per ignorare i banner (la cosiddetta banner blindness).
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D: Ci sono dei criteri da seguire?
R: Io non sono un grosso sostenitore delle guidelines. Non mi piace l'idea
della ricetta. Parlando di Internet, ad esempio, ogni sito è un
universo a parte. Va bene aver presente che esistono dei criteri di buona
progettazione, ma questo non deve significare che l'usabilità del
sito si esaurisca nell'adesione a una norma. Io vedo, e non sono l'unico,
l'usabilità come una proprietà emergente dall'interazione
tra individuo e tecnologia. Solo un'analisi puntuale delle interfacce
fatta con utenti reali può fornire informazioni importanti e, soprattutto,
specifiche per quell'artefatto. Ad esempio, noi abbiamo sviluppato una
metodologia - il GeoConcept - che è in grado di fornire informazioni
su dove gli utenti si aspettano che si trovi un link all'interno di una
pagina web. Impiegando questo metodo, sarà possibile in futuro
realizzare siti in cui le posizioni degli oggetti risultino più
"naturali". Tuttavia, ci aspettiamo che queste posizioni necessitino
di essere ridefinite di volta in volta, in funzione dello specifico sito,
della specifica categoria di utenti, dei link presenti nella pagina. Nessuna
ricetta.
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D: Seguendo le intuizioni di De Kerckhove, anche il web porterà
delle nuove modifiche ai brainframe culturali?
R: Ognuno di noi, nel bene e nel male, è allievo dei propri maestri.
De Kerckhove non fa eccezione, rimane molto influenzato dal pensiero di
McLuhan e ne rappresenta un'estensione odierna (in un periodo storico
in cui la comunicazione digitale è diventata realtà).
De Kerckhove fa il suo lavoro, produce immagini suggestive. Ad esempio,
ricordo che in un'intervista ha riportato l'ipotesi di McLuhan sull'estensione
a livello planetario del nostro sistema nervoso centrale. Ripeto, un'immagine
suggestiva, ben detta. Ma, mi passi il termine da esperto di comunicazione
(quale non sono), cosa c'è di vero dietro questo copy?
Certo, è un'opinione piuttosto diffusa che il progresso tecnologico
possa avere degli effetti sullo sviluppo del nostro sistema cognitivo.
Le tecnologie cambiano il nostro modo di interagire con il mondo. A volte
facendoci perdere delle abilità che consideriamo patrimonio della
nostra specie.
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D: Può fare un esempio?
R: Gli effetti collaterali di Internet, non come tecnologia in sé,
ma come futura abitudine. È un dato di fatto che oggi non esista
più la reale necessità di conservare nella nostra memoria
"organica" alcune informazioni, dal momento che esse sono disponibili
in rete. Possiamo accedere a un elevato numero di informazioni molto velocemente
e da qualunque luogo. Ma queste informazioni non ci appartengono, non
sono dentro di noi, rimangono fuori. Viene da chiedersi se l'uso di strumenti
ci abbia reso veramente una specie superiore, oppure se ci stia progressivamente
intrappolando in una rete di dipendenze. Io sono meno ottimista di De
Kerckhove! Le sue sono comunque riflessioni molto importanti per determinare
cambiamenti culturali. Il pensiero di De Kerckhove, ma potremmo citare
anche quello di Vilém Flusser, è in grado di veicolare messaggi
molto forti. Tuttavia, il livello di astrazione di queste idee spesso
non permette un'indagine scientifica e ciò, almeno per quello che
mi riguarda, costituisce un limite.
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D: Lei ha sviluppato uno strumento di misura per l'usabilità
dei siti web che usiamo anche noi di Comunitazione. Che cosa andremo a
valutare?
R: Il modello Us.E. prevede l'esistenza di quattro grandi fattori che
costituiscono una cornice cognitiva in grado di mediare la valutazione
che gli utenti fanno degli artefatti tecnologici durante il processo di
interazione. I fattori che noi abbiamo individuato sono la MANEGGEVOLEZZA,
l'ATTRATTIVA, la SODDISFAZIONE e la PREVEDIBILITÀ. Il questionario
ha costituito sia la base per la costruzione del modello, sia il "braccio
armato" che ci permette di ottenere misure standardizzate dell'usabilità
dei siti Internet.
Questo strumento non fornisce informazioni specifiche su cosa sia necessario
cambiare per migliorare l'interaccia, ma ci dice in che area l'interazione
diventi problematica per gli utenti di quello specifico sito. Questo è
un aspetto molto importante di Us.E., perché permette di "filtrare"
il giudizio dell'utente e di convogliare gli sforzi successivi solo sull'area
problematica.
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D: Facciamo un esempio. Se Comunitàzione.it risultasse problematico
unicamente per la dimensione della maneggevolezza?
R: Ciò significherebbe che è necessaria una riorganizzazione
dei contenuti. Solo quello. Anche se un sito è sempre migliorabile
(ad esempio dal punto di vista estetico), l'informazione fornita avrebbe
indicato che le altre dimensioni non sono considerate precarie dagli utenti.
Considerando che un restyling completo di un sito comporta un investimento
di tempo, energie e denaro, ritengo che questa sia un'ottima strategia
per affrontare i problemi di usabilità.
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D: Cosa "bolle in pentola" nel vostro laboratorio?
R: Tante cose! Meglio limitarsi all'usabilità. Di Us.E. abbiamo
già parlato. Una cosa che però non le ho detto è
che in questo momento stiamo procedendo a una validazione di questi strumenti.
In particolare, abbiamo allestito alcuni siti sperimentali che differiscono
l'uno dall'altro per un particolare. Ad esempio, dal momento che la struttura
di un sito esercita un ruolo importante sulla valutazione di usabilità,
abbiamo confrontato due siti identici per contenuto e grafica, ma che
differiscono per l'organizzazione di questi contenuti. All'interno di
questi siti, gli utenti hanno eseguito dei compiti e hanno successivamente
fornito delle valutazioni di usabilità. Us.E. si è mostrato
sensibile a questa semplice manipolazione e ciò è molto
confortante. Applicando questa logica a tutti gli altri aspetti che contribuiscono
a definire l'usabilità, saremo presto in grado di determinare quanto
validi e attendibili siano gli strumenti che abbiamo creato. Il nostro
obiettivo è quello di dare alle comunità di ricercatori
e progettisti degli strumenti funzionanti e basati su una solida teoria.
Solo così sarà possibile passare alle fasi successive di
ricerca e sviluppo in questo campo.
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D: Data l'importanza della psicologia, può suggire ai lettori
di Comunitàzione libri e studi per approfondire questi temi?
R: In primo luogo, "The Psychology of Everyday Things" di Norman
e "The Psychology of Human-Computer Interaction" di Card, Moran
e Newell. Credo che tutti i miei colleghi siano concordi nel considerare
questi libri una sorta di "passaggio obbligato" per avvicinarsi
a questi temi da una prospettiva psicologica. Se si è in cerca
di qualcosa di più breve, l'articolo di Carroll "Human-Computer
Interaction: Psychology as the Science of Design" è un'ottima
lettura.
Per orientarsi tra gli approcci all'usabilità, le posso dire qual
è la prima cosa che faccio leggere agli studenti che frequentano
il laboratorio: un technical report di Lowgren dal titolo "Perspectives
on Usability". Penso costituisca una buona (e breve) introduzione.
Comunque, di materiale ne esiste tanto in giro, spesso anche molto interessante.
Consiglierei la lettura di qualche buon lavoro di ricerca. A volte i laboratori
rendono disponibili alcuni articoli, basta solo saper spulciare la rete
…
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Sicuramente anche su questo sito si potrà aprire una discussione
in questo senso, anche se, mi permetto di invitare tutti a visitare e
frequentare www.idearium.it e di utilizzare idearium e comunitàzione
per aprire dei dibattiti, delle discussioni su questi temi, perché
Francesco Di Nocera, Leandro Agrò e tanti altri saranno disponibili
a scambi e approfondimenti.
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