Bentornato. Accedi all'area riservata







Non ti ricordi i dati di accesso?Recupera i tuoi dati

Crea il tuo account

2 SHARES

Le interfacce e l'usabilità.

20/05/2003 14151 lettori
6 minuti

D: Benvenuto al Dr. Francesco Di Nocera, ricercatore dell'Università di Roma "La Sapienza". Qual è il suo settore di ricerca?
R: Personalmente sono molto interessato ai meccanismi di genesi dell'errore umano, alla misura del carico di lavoro mentale e agli effetti indesiderati dell'automazione, però nel Laboratorio di Ergonomia Cognitiva del Dipartimento di Psicologia, dove svolgo la mia attività di ricerca, coesistono più anime. Siamo un gruppo variegato per interessi e competenze e ciò fa molto bene alla ricerca. Ci occupiamo delle basi cognitive dell'interazione individuo-tecnologie e, al contempo, molta ricerca che facciamo è veramente "di base".

 

D: Quindi non tutto quello che fate è orientato all'applicazione.
R: Diciamo che tutto quello che facciamo costituisce una base per delle applicazioni. Per alcune ricerche ciò è molto evidente, mentre per altre lo è meno. D'altra parte, non è possibile comprendere perché le persone commettono errori interagendo con sistemi multi-display (come quelli impiegati nelle centrali nucleari, ad esempio), senza avere delle conoscenze adeguate sul modo in cui l'attenzione viene spostata nello spazio. In ogni caso, direi che il mio settore di ricerca (e di applicazione) è quello dell'ergonomia cognitiva.

 

D: Ci può dire in due parole cos'è l'ergonomia?
R: L'ergonomia è la scienza che si occupa dell'uomo al lavoro, anche se il termine lavoro deve essere inteso in senso molto generale e, ai giorni nostri, deve includere qualsiasi attività svolta dagli esseri umani. Tempo fa, la distinzione tra attività lavorative e ricreative era netta. Oggi le cose non sono così semplici: spesso ci capita di utilizzare i medesimi strumenti per svolgere il lavoro propriamente detto, per lo svago, per la conduzione della casa, ecc. La diffusione del personal computer prima, e di Internet poi, hanno reso molto evidente questa sovrapposizione.

 

D: La parola ergonomia mi fa venire in mente una sedia …
R: Spesso il termine ergonomia viene associato alla comodità (comfort), oppure alla facilità d'uso (ease of use). Si tratta, tuttavia, di definizioni molto superficiali e poco rappresentative della complessità di questo settore che è, e rimane, fondamentalmente interdisciplinare. Diciamo che l'ergonomia può assumere significati differenti in funzione 1) degli obiettivi specifici che si pone il ricercatore o il progettista e 2) della componente disciplinare più utile per il raggiungimento di quegli obiettivi. Ad esempio, se il mio scopo è quello di rendere usabile il software per la gestione delle funzioni di un telefono cellulare, avrò la necessità di individuare la migliore organizzazione gerarchica di quelle funzioni. Naturalmente, ciò non ha niente a che vedere con la "comodità" nel senso fisico del termine, ma riguarderà i processi cognitivi dell'utente, il suo modo di rappresentarsi il menu delle funzioni. In questo senso, sarà l'ergonomia cognitiva ad assumere un ruolo fondamentale nella progettazione. Al contrario, se il mio scopo è quello di progettare un auricolare per il telefono dovrò soprattutto fare riferimento ad aspetti antropometrici, per assicurare la comodità e la facilità d'uso del sistema.

 

D: Quindi l'ergonomia cognitiva è diversa dall'ergonomia?
R: In generale, possiamo dire che l'ergonomia cognitiva sta all'ergonomia, come la mente sta al corpo. Sedendoci sulla nostra poltrona "ergonomica", sentiamo di star comodi perché chi l'ha disegnata ha tenuto conto del fatto che il corpo di un individuo è fatto in un certo modo e necessita di alcune sollecitazioni, ma non di altre. Allo stesso modo sarebbe auspicabile una progettazione che tenga conto anche del nostro modo di percepire, pensare, prendere decisioni, ecc.

 

D: Può fare un esempio?
R: Certo. Un esempio concreto, e molto noto in questo settore, è quello dei fornelli da cucina. Poche case produttrici hanno realizzato piani di cottura in cui la disposizione delle manopole fosse identica a quella dei fornelli. In Psicologia, chiamiamo questa corrispondenza "mapping coerente" (consistent mapping) e da anni sappiamo che agevola l'esecuzione di un compito e riduce gli errori. La conseguenza di questa "svista" del progettista è che, anche dopo un uso prolungato del piano di cottura, ci si sbaglia e si utilizzano le manopole sbagliate. A me capita regolarmente! Naturalmente, non ci sono conseguenze disastrose per questo errore, perché la presenza della fiamma costituisce un feedback molto evidente. Ma ci sono altri casi in cui lo stesso errore potrebbe costar caro.
Un altro esempio classico è il passaggio dai sistemi a riga di comando alle interfacce basate sulle icone. Quando la Apple uscì sul mercato con il primo sistema a icone rivoluzionò sia l'industria informatica, sia il modo di usare gli strumenti informatici. Quella fu una geniale applicazione delle conoscenze acquisite nel campo della psicologia cognitiva.

 

D: Cosa possono fare i progettisti per evitare questi errori?
R: Avere consapevolezza dei propri limiti in quanto designer e dei limiti degli utenti in quanto esseri umani. Questo è un punto importante e ci tengo a sottolinearlo: nessun progettista con un po' di buon senso progetterebbe una sedia alta due metri, perché sarebbe in evidente contrasto con i limiti fisici dei futuri utilizzatori. Alcuni limiti cognitivi, invece, sono meno evidenti al progettista, perché non ha una formazione psicologica. Senza contare che il progettista fa riferimento alle sue abilità, perché è lui il primo a testare la tecnologia che progetta. Questo significa che se l'utente a cui è destinato il prodotto non possiede le stesse conoscenze del designer (e ciò costituisce la norma), il prodotto non risulterà usabile.

 

D: Quanto è diffuso il cattivo design?
R: Spesso mi capita di imbattermi in interfacce che sembrano essere state progettate senza il minimo buon senso. Mi domando se il designer che ne è responsabile abbia potuto veramente credere che fossero funzionali. Siamo abituati a discutere di guidelines e valutazioni di usabilità fatte da grandi aziende, ma la verità è che c'è tanto "sommerso". Se la Sony o la IBM, tanto per fare dei nomi, mettessero oggi sul mercato della tecnologia scarsamente usabile, sarebbero bersagliate da uno stuolo di ricercatori, esperti, commentatori, ecc. Al contrario, chi si interessa del sito Internet realizzato da un anonimo designer per il comune x, oppure per la piccola azienda y?

 

D: Parlando di comunicazione, anche per un manifesto, una pubblicità, un qualsiasi layout possiamo parlare di ergonomia?
R: Certamente. Per quanto questo non sia esattamente il mio settore, conosco ricercatori che utilizzano lo studio dei movimenti oculari per verificare l'efficacia di spot televisivi e manifesti pubblicitari. Lo studio delle strategie degli utenti può quindi essere di aiuto anche agli esperti di comunicazione. Gli oggetti comunicano qualcosa alle persone e le persone hanno delle aspettative su come si "comporteranno" gli oggetti.
Peraltro, la tecnologia coinvolge oggi anche la pubblicità, basti pensare alla presenza di banner sui siti Internet. A questo proposito mi viene in mente un interessante studio su questo argomento in cui gli autori hanno dimostrato che gli utenti Internet hanno ormai sviluppato strategie cognitive per ignorare i banner (la cosiddetta banner blindness).

 

D: Ci sono dei criteri da seguire?
R: Io non sono un grosso sostenitore delle guidelines. Non mi piace l'idea della ricetta. Parlando di Internet, ad esempio, ogni sito è un universo a parte. Va bene aver presente che esistono dei criteri di buona progettazione, ma questo non deve significare che l'usabilità del sito si esaurisca nell'adesione a una norma. Io vedo, e non sono l'unico, l'usabilità come una proprietà emergente dall'interazione tra individuo e tecnologia. Solo un'analisi puntuale delle interfacce fatta con utenti reali può fornire informazioni importanti e, soprattutto, specifiche per quell'artefatto. Ad esempio, noi abbiamo sviluppato una metodologia - il GeoConcept - che è in grado di fornire informazioni su dove gli utenti si aspettano che si trovi un link all'interno di una pagina web. Impiegando questo metodo, sarà possibile in futuro realizzare siti in cui le posizioni degli oggetti risultino più "naturali". Tuttavia, ci aspettiamo che queste posizioni necessitino di essere ridefinite di volta in volta, in funzione dello specifico sito, della specifica categoria di utenti, dei link presenti nella pagina. Nessuna ricetta.

 

D: Seguendo le intuizioni di De Kerckhove, anche il web porterà delle nuove modifiche ai brainframe culturali?
R: Ognuno di noi, nel bene e nel male, è allievo dei propri maestri. De Kerckhove non fa eccezione, rimane molto influenzato dal pensiero di McLuhan e ne rappresenta un'estensione odierna (in un periodo storico in cui la comunicazione digitale è diventata realtà).
De Kerckhove fa il suo lavoro, produce immagini suggestive. Ad esempio, ricordo che in un'intervista ha riportato l'ipotesi di McLuhan sull'estensione a livello planetario del nostro sistema nervoso centrale. Ripeto, un'immagine suggestiva, ben detta. Ma, mi passi il termine da esperto di comunicazione (quale non sono), cosa c'è di vero dietro questo copy?
Certo, è un'opinione piuttosto diffusa che il progresso tecnologico possa avere degli effetti sullo sviluppo del nostro sistema cognitivo. Le tecnologie cambiano il nostro modo di interagire con il mondo. A volte facendoci perdere delle abilità che consideriamo patrimonio della nostra specie.

 

D: Può fare un esempio?
R: Gli effetti collaterali di Internet, non come tecnologia in sé, ma come futura abitudine. È un dato di fatto che oggi non esista più la reale necessità di conservare nella nostra memoria "organica" alcune informazioni, dal momento che esse sono disponibili in rete. Possiamo accedere a un elevato numero di informazioni molto velocemente e da qualunque luogo. Ma queste informazioni non ci appartengono, non sono dentro di noi, rimangono fuori. Viene da chiedersi se l'uso di strumenti ci abbia reso veramente una specie superiore, oppure se ci stia progressivamente intrappolando in una rete di dipendenze. Io sono meno ottimista di De Kerckhove! Le sue sono comunque riflessioni molto importanti per determinare cambiamenti culturali. Il pensiero di De Kerckhove, ma potremmo citare anche quello di Vilém Flusser, è in grado di veicolare messaggi molto forti. Tuttavia, il livello di astrazione di queste idee spesso non permette un'indagine scientifica e ciò, almeno per quello che mi riguarda, costituisce un limite.

 

D: Lei ha sviluppato uno strumento di misura per l'usabilità dei siti web che usiamo anche noi di Comunitazione. Che cosa andremo a valutare?
R: Il modello Us.E. prevede l'esistenza di quattro grandi fattori che costituiscono una cornice cognitiva in grado di mediare la valutazione che gli utenti fanno degli artefatti tecnologici durante il processo di interazione. I fattori che noi abbiamo individuato sono la MANEGGEVOLEZZA, l'ATTRATTIVA, la SODDISFAZIONE e la PREVEDIBILITÀ. Il questionario ha costituito sia la base per la costruzione del modello, sia il "braccio armato" che ci permette di ottenere misure standardizzate dell'usabilità dei siti Internet.
Questo strumento non fornisce informazioni specifiche su cosa sia necessario cambiare per migliorare l'interaccia, ma ci dice in che area l'interazione diventi problematica per gli utenti di quello specifico sito. Questo è un aspetto molto importante di Us.E., perché permette di "filtrare" il giudizio dell'utente e di convogliare gli sforzi successivi solo sull'area problematica.

 

D: Facciamo un esempio. Se Comunitàzione.it risultasse problematico unicamente per la dimensione della maneggevolezza?
R: Ciò significherebbe che è necessaria una riorganizzazione dei contenuti. Solo quello. Anche se un sito è sempre migliorabile (ad esempio dal punto di vista estetico), l'informazione fornita avrebbe indicato che le altre dimensioni non sono considerate precarie dagli utenti. Considerando che un restyling completo di un sito comporta un investimento di tempo, energie e denaro, ritengo che questa sia un'ottima strategia per affrontare i problemi di usabilità.

 

D: Cosa "bolle in pentola" nel vostro laboratorio?
R: Tante cose! Meglio limitarsi all'usabilità. Di Us.E. abbiamo già parlato. Una cosa che però non le ho detto è che in questo momento stiamo procedendo a una validazione di questi strumenti. In particolare, abbiamo allestito alcuni siti sperimentali che differiscono l'uno dall'altro per un particolare. Ad esempio, dal momento che la struttura di un sito esercita un ruolo importante sulla valutazione di usabilità, abbiamo confrontato due siti identici per contenuto e grafica, ma che differiscono per l'organizzazione di questi contenuti. All'interno di questi siti, gli utenti hanno eseguito dei compiti e hanno successivamente fornito delle valutazioni di usabilità. Us.E. si è mostrato sensibile a questa semplice manipolazione e ciò è molto confortante. Applicando questa logica a tutti gli altri aspetti che contribuiscono a definire l'usabilità, saremo presto in grado di determinare quanto validi e attendibili siano gli strumenti che abbiamo creato. Il nostro obiettivo è quello di dare alle comunità di ricercatori e progettisti degli strumenti funzionanti e basati su una solida teoria. Solo così sarà possibile passare alle fasi successive di ricerca e sviluppo in questo campo.

 

D: Data l'importanza della psicologia, può suggire ai lettori di Comunitàzione libri e studi per approfondire questi temi?
R: In primo luogo, "The Psychology of Everyday Things" di Norman e "The Psychology of Human-Computer Interaction" di Card, Moran e Newell. Credo che tutti i miei colleghi siano concordi nel considerare questi libri una sorta di "passaggio obbligato" per avvicinarsi a questi temi da una prospettiva psicologica. Se si è in cerca di qualcosa di più breve, l'articolo di Carroll "Human-Computer Interaction: Psychology as the Science of Design" è un'ottima lettura.
Per orientarsi tra gli approcci all'usabilità, le posso dire qual è la prima cosa che faccio leggere agli studenti che frequentano il laboratorio: un technical report di Lowgren dal titolo "Perspectives on Usability". Penso costituisca una buona (e breve) introduzione.
Comunque, di materiale ne esiste tanto in giro, spesso anche molto interessante. Consiglierei la lettura di qualche buon lavoro di ricerca. A volte i laboratori rendono disponibili alcuni articoli, basta solo saper spulciare la rete …


Sicuramente anche su questo sito si potrà aprire una discussione in questo senso, anche se, mi permetto di invitare tutti a visitare e frequentare www.idearium.it e di utilizzare idearium e comunitàzione per aprire dei dibattiti, delle discussioni su questi temi, perché Francesco Di Nocera, Leandro Agrò e tanti altri saranno disponibili a scambi e approfondimenti.

Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.