Poliziano, poeta umanista italiano
AngeloAmbrogini detto Poliziano, poeta umanista italiano (Montepulciano1454 Firenze1494).
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Di famiglia borghese legata ai Medici, rimasto orfano del padre che era stato ucciso per vendetta, Angelo Ambrogini (che si farà chiamare Politianus dal nome latino della città natale, Mons Politianus) si trasferì giovanissimo a Firenze dove seguì le lezioni dei greci e s'impose per la sua prodigiosa cultura classica (rivelatasi con la traduzione latina dei libri II-V dell'Iliade) che gli valse la protezione del Magnifico e l'ammissione nella sua casa come cancelliere privato.
Divenuto precettore di Piero e Giovanni, figli di Lorenzo, ebbe accesso alla ricca biblioteca medicea e frequentò Marsilio Ficino, ricavandone la disposizione a trasporre sul piano del mito la rivelazione della sapienza.
Tale attitudine contemplativa si manifesta in un gruppo di elegie, odi, epigrammi in latino dove personaggi e situazioni perdono i loro connotati realistici per assumere la qualità di miti : è il caso delle due elegie amorose In Lalagen e In violas, dell'ode In puellam suam e soprattutto In Albieram Albiziam in cui la pietà per la morte precoce della bellissima Albiera si muta in una contemplazione, velata di malinconia.
Al gusto di queste liriche si può ricondurre un altro componimento, la Sylva in scabiem, dove il tema dell'orrido e del macabro si svolge in una descrizione elegante e bizzarra. La varietà di toni contrassegna anche la lirica volgare del Poliziano, costituita dai Rispetti continuati (riuniti in serie) e spicciolati (slegati) e dalle Ballate. Queste composizioni conservano la freschezza e la semplicità della lirica popolaresca, rielaborata con forme e modi squisitamente letterari che attingono alla lirica erotica latina, agli stilnovisti e al Petrarca.
Celebri, in particolare, le ballate I' mi trovai, fanciulle, un bel mattino, dove l'incanto della natura primaverile suggerisce l'analogia fra la rosa e la bellezza che deve essere goduta nella fase culminante del suo fiorire, e Ben venga maggio, pervasa del senso pagano dell'onnipotenza dell'amore.
Le ballate, che si risolvono in un sogno primaverile di bellezza e di giovinezza, introducono nel clima del capolavoro, le Stanze per la giostra. per celebrare la vittoria in una giostra di Giuliano de' Medici, il poemetto non accenna neppure al motivo delle armi che è estraneo alla sensibilità del Poliziano e canta il trionfo di Amore sulla violenza della guerra. Ma la storia di Iulio e Simonetta non può ridursi al motivo dell'esemplare celebrazione dei massimi ideali umanistici dei quali avverte la fragilità e che trasforma pertanto in sogni insidiati dalle forze del Fato e della Morte. Ciò vale per il mito centrale delle Stanze, quello della bellezza che prende corpo nella figura di Simonetta, collocata in una dimensione mitica, lontana dalla realtà quotidiana. Armonia esiste tra la bellezza femminile e la natura primaverile, simbolo della stagione privilegiata della vita anche se l'apparizione di Simonetta sullo sfondo della natura è ricalcata su stilemi stilnovistici, danteschi e petrarcheschi. Nessun sondaggio nel mondo interiore della coscienza: c'è solo il sogno voluttuoso di un rifugio in un Eden incontaminato da cui siano assenti le sofferenze quotidiane, il dolore, la morte.
Centro ideale del poema è la descrizione del regno di Venere dove esiste una eterna primavera A questa trasposizione dalla realtà quotidiana alla dimensione del mito contribuisce la struttura delle Stanze che risulta dalla contaminazione fra il poemetto encomiastico della latinità decadente e la narrazione in ottave di giostre e feste, tipica della letteratura volgare, con echi virgiliani, ovidiani, danteschi e petrarcheschi
Una frattura rispetto alle Stanze e alle liriche giovanili si verifica con la vicenda della congiura dei Pazzi, rievocata nella prosa del Pactianae coniurationis commentarium, di imitazione sallustiana dedicata a Lorenzo come medicina spirituale contro la malvagità dei tempi dalla quale Poliziano si difende con il ricorso alla satira pungente e arguta dei Detti piacevoli.
Tale frattura si approfondisce con la crisi dei rapporti del Poliziano con i Medici che lo costringono ad allontanarsi da Firenze nel 1479. Recatosi a Mantova, il poeta compone in soli due giorni, per una festa dei Gonzaga, la Favola d'Orfeo, in cui ritorna il sogno idillico di una vita serena in un mondo d'intatta bellezza, ma con una più struggente coscienza del suo rapido sfiorire: anche il linguaggio è meno raffinato di quello delle Stanze ed è più vicino alla semplicità popolaresca delle ballate. Ma l'importanza dell'Orfeo è da ricercare nella novità della composizione, che, rifacendosi alle sacre rappresentazioni popolari, con la sola sostituzione del mito classico alla materia religiosa, inaugura il teatro volgare di argomento profano
Richiamato da Lorenzo nel 1480, il Poliziano sale sulla cattedra dello Studio fiorentino e si concentra nell'attività filologica e critica, cui è legata anche la produzione poetica della maturità:
le quattro Sylvae in esametri, prolusioni ai corsi accademici (Manto), (Rusticus), (Ambra) e (Nutricia).
Si tratta di una poesia erudita, meno agile e fresca rispetto alle liriche della giovinezza, ma animata da una eloquenza e celebrazione della poesia antica.
L'assiduo lavoro filologico del Poliziano è testimoniato dall'edizione dei Miscellanea, che raccoglie il fiore del suo insegnamento ed è accompagnato dalle Epistole: memorabile la lettera a Cortese al quale Poliziano rimprovera la sua concezione dell'opera letteraria come frutto di molteplici esperienze di lettura. Degna di ricordo la Lamia (1492), prolusione a un corso sui Priora di Aristotele dove è evidente la coscienza che Poliziano ebbe della sua opera, considerata dalla critica come altissima espressione delle esigenze più vive e più profonde del movimento umanistico.
Nessuna enciclopedia parla della morte di Poliziano, avvenuta a soli quarant'anni
Pico della Mirandola e Angelo Poliziano potrebbero essere stati uccisi da Marsilio Ficino. L’ipotesi è formulata dal Comitato nazionale per la valorizzazione dei beni storici, culturali ambientali, in attesa dei risultati finali delle analisi sui resti ossei dei due, morti a Firenze nel 1494 che si stanno effettuando presso il Dipartimento di antropologia dell’Università di Bologna.
Sarebbero cinque i possibili moventi: la lettera scritta da Pico della Mirandola a Ficino nel febbraio 1494 (conservata nella biblioteca Laurentiana a Firenze) in cui Ficino viene accusato di stregoneria; l’ultima opera di Pico della Mirandola, pubblicata postuma che contiene un attacco all’astrologia divinatoria praticata da un gruppo di «astrologi» tra cui Ficino; la perdita di potere alla Corte dei Medici, di Marsilio per l’interesse della corte nei confronti di Pico della Mirandola; gli attacchi da parte di quest’ultimo alla filosofia di Ficino con le critiche di Poliziano al suo stile . Per ultimo, la differenza fisica tra Pico e Marsilio. «Il primo era ricco, giovane, bello con grande carisma, il secondo era brutto, avanti negli anni ed abituato a tramare nell’ombra della Corte medicea».