Rebecca - la prima moglie: l’ultima volta di Alfred Hitchcock?
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il televisore si accende e lentamente compare l’entrata lenta e sorniona di un distinto uomo in evidente sovrappeso e in elegante completo nero...
Dalla sua bocca escono poche e concise parole d’introduzione: "Signore e signori... buonasera !"
Sta iniziando lo spettacolo chiamato Alfred Hitchcock
Se la cinematografia è stata deliziata dall'aspetto tecnico e narrativo che nel thriller ha avuto la sua netta classificazione, Hitchcock ha avuto il compito di rappresentare l'icona stessa in un nome, dove l'evento visivo era sempre il risultato di una precisa calibratura di soggetti e di ruoli dove gli attori stessi venivano sublimati dalla rappresentazione della storia.
Non aveva più importanza, quindi, se il genere poteva passare dai toni drammatici all'aspetto cruento di un tema horror velato da quell'intenzione. L'importante era lasciare un'impronta patinata che doveva essere la testimonianza di un valore non solo cinematografico, ma di forte e sottile spessore psicologico e culturale .
Alfred Hitchcock ha avuto questa grande capacità. Tanti attori sono passati sotto le mani di tante sceneggiature firmate dalla sua regia e nessuno ha mai subito l'etichettatura di un genere a volte scomodo nel suo stesso utilizzo: Laurence Olivier, Anthony Perkins, James Stewart, Cary Grant, Sean Connery per passare alle partner femminili di prestigio come Janet Leight, Grace Kelly, Doris Day e Tippi Hedren. Ogni grande attore ha solo potuto essere deliziato da una precisa scelta di caratteri e ruoli che hanno solo potuto definire il meglio della cinematografia mondiale e non solo di un genere.
Oggi, dopo circa 60 anni di evoluzione cinematografica, rimane la malinconica nostalgia di una originale capacità rappresentativa che può solo venire rievocata da quei pochi cineasti che hanno voluto innalzare lo stile narrativo di ogni suo film, mantenendo intatti lo spirito e l'impatto emotivo non solo dovuti dalla storia in se. Questo è quello che ha potuto elargire l’ultimo rifacimento firmato Riccardo Milani, Rebecca-La prima moglie, riproponendo uno sceneggiato in due puntate (conclusesi martedì 8 aprile), in uno stile drammatico tipicamente made in italy, ma dalle venature che sanno strizzare l’occhio a prestigiosi omaggi di montaggio e fotografia non solo tipicamente devoti al maestro Hitchcock (l’originale diretto nel 1940 e interpretato da Laurence Olivier e Joan Fontaine), ma da squarci narrativi dalle tinte cupe di un Coppola non tanto fuori luogo, in una storia che certamente trae spunto da drammi amorosi cari alla letteratura romanzata, dove amore e morte firmano un patto con un finale che rende merito a una giustizia a favore di chi dal passato non può trarre causa migliore. Alessio Boni torna, quindi, a regalare forti emozioni recitative, compassato in un ruolo non troppo scomodo, visto i fasti di produzione europea nei drammi epici rivalutati in precedenza, da un Guerra e Pace già citato allo stesso Caravaggio. Un Max De Winter misurato, accostato alla virginale Cristiana Capotondi nel ruolo di colei che si sostituirà alla rinnegata prima moglie Rebecca, in un susseguirsi di tinte devote a quel melodramma che ha regalato un genere devoto al più diretto Nazzari in puro stile. Ottima l’interpretazione di Mariangela Melato, la governante Danvers che rappresenta il legame estenuante e soffocante di un assurdo vincolo con chi può solo distruggere la propria esistenza, in quel riferimento che diventerà culto nel successivo Psyco di Hitchcock. Conflitti edipici materni e oscuri che si risolvono in quel lieto fine che recupera contrasti e legittimi sacrifici, che diventano cenere purificatrice, come la stessa dimora di Menderley in fiamme, nell’atto disperato della stessa governante che libera dal peso di un passato ormai inutile l’anima di Max De Winter. Elogi meritati al regista Milani e benvengano, quindi, attesi rifacimenti degni di tale stima.