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MARIO RIGONI STERN e' morto oggi a 86 anni

18/06/2008 16478 lettori
5 minuti

Mario Rigoni Stern è nato ad Asiago (Vicenza) il 1 novembre 1921 da Giovanni Battista e Annetta Vescovi. La famiglia numerosa commercia con la pianura in prodotti delle malghe alpine, pezze di lino, lana e manufatti in legno della comunità dell'Altipiano,quella comunità della montagna veneta racconta nelle opere di Rigoni Stern.  

L'infanzia trascorsa nella conca asiaghese è fatta del contatto con i lavoratori delle malghe, i pastori, la gente di montagna che è appena uscita dalle rovine del primo conflitto mondiale, una guerra che ha prodotto un esodo drammatico della popolazione e un difficile ritorno ai paesi e alle contrade interamente rase al suolo:

"La nostra piccola patria dei Sette Comuni sconvolta e distrutta fin nel profondo da quarantun mesi di guerra e la nostra gente dal maggio 1916 profuga per l'Italia dopo aver tutto perduto". Frequenta la scuola di avviamento al lavoro e fa il garzone nel negozio dei genitori: "Per i lavori aiutavo in casa o nel negozio di Alimentari e vini che avevamo sulla piazza centrale del paese. Ma c'era anche da preparare la legna per l'inverno, raccogliere il fieno sui prati per poi avere buon latte".

Nel 1938 si arruola volontario alla scuola militare d'alpinismo di Aosta quando la guerra sembra lontana, ma nel settembre del 1939, mentre è in licenza, deve rientrare improvvisamente al reparto, e nel treno che lo porta sul fronte occidentale osserva i volti, alcuni non più giovani, degli uomini costretti a lasciare mogli e i figli: in quel momento, racconta Rigoni Stern, capisce che ciò che sta accadendo cambierà per sempre anche la sua vita. Dopo il fronte occidentale tocca a quello albanese  e poi a quello russo.
Il 9 maggio 1945, dopo due anni e oltre di lager, arriva il giorno del ritorno sull'Altipiano, ma l'esperienza della prigionia ha segnato profondamente il ventitrenne Rigoni Stern; gli risulta difficile reinserirsi nella vita civile, difficile reagire all'apatia che lo attanaglia.

Di questa profonda prostrazione ne abbiamo testimonianza nel doloroso e insieme delicato breve racconto La scure (in Ritorno sul Don, 1973), pagine dedicate a Primo Levi: "Il Lager avrebbe dovuto restare dietro le spalle, lontano; in una landa della Polonia. Ma non era perché le baracche allineate nei blocchi, i reticolati con sopra, alte come su trampoli, le torrette delle mitragliatrici mi seguivano. Camminavo da centinaia di chilometri e attorno restavano sempre queste cose: mi attorniavano come un abito. Reali, non di impressioni o di aria, e non riuscivo a liberarmene".

Il suo romanzo più significativo:
 IL SERGENTE DELLA NEVE
È la cronaca personale dello scrittore, quando era sergente maggiore dei mitraglieri, nel battaglione Vestone (divisione Tridentina) durante la ritirata di Russia del CSIR, (Corpo Spedizione Italiano in Russia) del quale faceva parte il corpo d'armata Alpino, nel gennaio 1943.
 
 
Il primo libro inizia in un caposaldo sul fiume Don. Sotto al caposaldo scorre il fiume spesso gelato e sulla riva opposta vi è un caposaldo russo. È inverno ed il freddo intenso congela gli animi. Le giornate sono monotone: si cerca petrolio per le lampade, si ricontrollano le armi soggette al gelo che le rende inutilizzabili, si fa la polenta che riscalda i corpi e ricorda le montagne italiane sulle quali sono cresciuti gli alpini che compongono le compagnie che presidiano il caposaldo. Tutto ciò è a volte interrotto dal fuoco dei cecchini russi, da brevi incursioni nemiche e da combattimenti a suon di mortaio.
 
 
Ognuno riceve posta e poiché è Natale anche auguri, cartoline e razioni di sigarette e cognac. La situazione non è delle più difficili sino a quando il tenente muore e le munizioni per i mortai scarseggiano. A questo punto le infiltrazioni russe iniziano ad essere più frequenti. La pericolosità dei russi aumenta tanto che Rigoni si salva per miracolo da una pallottola che gli s'incastra nella canna del moschetto. Vedendo che le cose peggiorano, giunge l'ordine della ritirata. I plotoni sono divisi in squadre che a turno dovranno lasciare il caposaldo e coprire le spalle alla squadra successiva. Tutto procede secondo i piani ed i russi non accortisi della ritirata non attaccano il caposaldo. Quando viene però il momento di lasciare il caposaldo per Rigoni, egli si blocca, rimane stordito; in quel posto egli lascia molti suoi compagni, molti ricordi e per sfogarsi prima di andarsene scarica un paio di caricatori di un mitragliatore e lancia delle granate. Fatto ciò con un enorme peso morale lascia il caposaldo e raggiunge i compagni.
La colonna in ritirata si riversa così nelle gelide steppe russe nella speranza di non essere incalzata dai russi.
 
 
Nel tragitto Rigoni incontra il cugino Adriano che gli rievoca ricordi felici, di quando era ancora nel suo paese in Veneto. Rigoni essendo caritatevole ed altruista spesso aiuta i compagni e sprofondando nella neve fino alle ginocchia soffre le pene dell'inferno, incrementate dal pesante zaino che sembra segare le ascelle già irritate dal gelo. Incontrano quindi un villaggio e nelle isbe riposano cercando di riscaldarsi e dormire un po'.
 
 
La ritirata non è però priva di pericoli e ne sa qualcosa Rigoni che è mandato in retroguardia a sostituire un plotone annientato dai pesanti tank russi.
 La cosa grave è che il nuovo tenente che comanda il suo plotone rimane ferito e prende quindi lui il comando. La steppa è popolata da camion incendiati, carcasse di tank, carcasse di soldati pietrificati dal freddo, suoni di spari e di bombardamenti, pallottole  che fischiano sopra le loro teste. I russi sono ın qualche modo tenuti indietro e Rigoni si riunisce alla colonna che si era intanto rimessa in marcia. Giunti in un altro villaggio i soldati si riposano nelle isbe mentre il plotone di Rigoni è mandato a coprire parte del perimetro esterno. Dopo poco però giunge l'ordine di lasciare la posizione ed allora ognuno ritorna nell'isba calda.
 
La sera è tranquilla finché una pallottola infrange il vetro della finestra e sfiora Rigoni.
Si odono alcuni spari e si pensa siano partigiani ma ci si accorge poi che sono dei tedeschi.
Essendo i soldati finiti in una sacca, accerchiati tentano di sfondare lungo la strada verso i Carpazi.
E, assaltato quindi un villaggio e con l'ausilio dei tank tedeschi è presto occupato. Qui ci si riposa un po'.
 
 
Lasciato il villaggio, una battaglia caratterizza il terreno duro della steppa: tank russi contro tank tedeschi che con le cannonate illuminano il buio cielo invernale.
Sgominati i russi gli italiani raggiungono un grosso fienile che d'improvviso s'apre e lascia uscire decine di prigionieri italiani liberati dalle guardie russe in fuga. In sostituzione del tenente rimasto ferito, è assegnato al plotone di Rigoni un nuovo tenente: scontroso e molto rigido, non sta bene a Rigoni che chiede al capitano di trasferire l'ufficiale in un altro plotone; il capitano accondiscende. Le marce sono lunghe ed estenuanti e all'orizzonte, a sera, è possibile vedere distanti villaggi in fiamme, rumori di spari. Si vedono nella steppa scheletri neri e fumanti di case e granai, sempre più corpi abbandonati o congelati.
 
Appena passata la frontiera ucraina, una violenta battaglia scuote la calma della steppa.
È il 26 gennaio, una data che moltissimi soldati e molte famiglie non scorderanno più: a Nikolaevka diversi plotoni ed intere compagnie sono andate incontro alla morte; qui dopo un confuso assalto delle truppe di testa, aspettando il sostegno dei carri armati tedeschi e del resto della colonna, che arriva troppo tardi, più della metà dei soldati italiani sono rimasti uccisi.  Viene quindi una pausa riflessiva ove sono elencati tutti i morti della battaglia: Rino, suo amico infantile, Raul, primo amico della via militare, ù Giuanin, un suo amico che finalmente è arrivato a casa, il cappellano, il capitano, contrabbandiere di Valstagna, il generale Martinat, il sergente Minelli, Moreschi, Pintossi.
 
 
Il protagonista si sente come un sasso, vittima d'eventi che non può reggere, troppo grandi e dolorosi. Dopo l'ennesima marcia stremante giunge in un villaggio ed in un'isba si mangia un pezzo di gallina in compagnia d'alcuni soldati che non conosce.
Si addormenta ed al suo risveglio si accorge che gli hanno rubato il caro moschetto compagno di mille battaglie. Nella stessa isba trova un grosso e pesante fucile da caccia  e, presolo, si incammina in fretta per raggiungere  la compagnia.
Il suo piede è ferito, ha una piaga dolorosa e ciò gli rende il cammino difficile tanto che è costretto ad usare un bastone come stampella. Raggiunge  la colonna in marcia e incontra Romeo, un vecchio compagno che conobbe nel corso rocciatori, così chiamato perché ogni sera andava a trovare una pastorella nella valle e si arrampicava alla sua finestra per cantarle una serenata.
 Dopo lunghe marce riesce, insieme ai suoi compagni ancora vivi ,ad uscire dalla sacca e raggiunge finalmente un caposaldo tedesco dove si lava, si cura e dorme per due giorni. Procedendo il cammino verso casa, arriva nella Russia Bianca.
 
Afferma Rigoni Stern “ è meglio diffidare dei best-seller, optando invece per i long-seller o per i classici. Spesso i classici sanno testimoniare meglio di molti scrittori contemporanei, riuscendo addirittura ad anticipare i tempi».
Mario Rigoni Stern, sulla base della sua esperienza come alpino sul fronte russo, conduce nei suoi libri una dura requisitoria contro la guerra. Eppure oggi i conflitti imperversano.
 
Vuol dire che la storia non ci ha insegnato niente? «È una domanda vecchia, almeno quanto Caino e Abele -risponde- non sono particolarmente ottimista per l’immediato futuro, ma coltivo una speranza, per quanto paradossale: cioè che la guerra, una volta divenuta sempre più globale, non trovi ulteriori spazi di espansione, perché nel frattempo avrà occupato il mondo intero, e dunque cominci il suo processo di implosione. Spero che l’uomo, prima o poi, si accorga della propria piccolezza e comprenda l’importanza della solidarietà con tutti i suoi simili».
 
Alla domanda di «Letture» su cosa si debba intendere per eroismo, lo scrittore di Asiago risponde: «L’eroismo in battaglia è una buffonata. Significa vincere la paura, spesso in preda a un’esaltazione psichica data da droga o alcool. L’eroe molte volte non è altro che uno stupido: come quel tale, morto perché si era avventato, armato soltanto di uno scudiscio, contro le mitragliatrici nemiche».
«Il vero eroismo - afferma  - è un altro, al di fuori della retorica militaresca: un alpino che trascina per tre giorni sulla neve il corpo del fratello morto, perché non vuole tornare a casa senza di lui; un soldato che carica quanti più feriti può su una slitta, per cercare di salvarli da morte sicura».

Trova un impiego al catasto di Asiago e passano anni prima che riprenda tra le mani quei fogli scritti legati con dello spago abbandonati in un angolo della casa, per farne un libro, Il sergente nella neve pubblicato su indicazione di Elio Vittorini conosciuto da Rigoni Stern nel 1951 e collabora alla sceneggiatura de I recuperanti, film girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all'indomani della Grande guerra.

Nel 1970 lasciato il lavoro comincia a pubblicare opere narrative con regolarità e ad iniziare una collaborazione con La Stampa che dura tuttora sulle pagine culturali e sull'inserto settimanale del quotidiano torinese, oltre a dedicarsi a letture e studi storici che recentemente gli hanno consentito di curare un importante volume, 1915/18 La guerra sugli Altipiani. Testimonianze di soldati al fronte (Neri Pozza, 2000), un'antologia commentata di testi sul primo conflitto mondiale.

Maresa Baur
Maresa Baur

Sono una scrittrice conosciuta nel web per aver pubblicato sette libri con case editrici online. Il mio sito è http;//digilander.libero.it/biribanti.maresa Credo che cliccando sul link possiate apprendere molto di me,quasi tutto. Amo leggere, informarmi ed informare e scrivo come una forsennata come se non avessi il tempo sufficiente per farlo. Ho scritto libri di poesie, racconti, storie fantasy e "thriller". Anche il giornalismo mi affascina. Mi sono diplomata a Cambridge e adoro l'inglese che è sempre stato la colonna sonora della mia vita. Ho insegnato inglese e fatto traduzioni tecniche. La poesia è tuttavia il mio grande amore e ho invaso tutti i siti letterari possibili.La mia passione è scrivere e se non lo facessi più morirei. Mi definisco una folle-saggia con un pizzico di ironia e con questo mi presento. Maresa Baur