Quando le malattie sociali invadono il web
La televisione è lo specchio della società? Non più, oggi abbiamo il web 2.0 che permette ad ognuno di noi di condividere con il resto del mondo (almeno in teoria) contenuti, foto, video e, soprattutto, idee. Ecco, è questo il vero motore che permette alla rete di classificarsi come la vera rivoluzione del XXI secolo: la possibilità di dare voce ad ogni singolo individuo e far viaggiare i contenuti con facilità, senza alcun filtro. E se nel flusso comunicativo di internet finissero anche le morbosità dello spirito umano, le perversioni dell'anima, in una parola le idee cattive dell'uomo? Avrebbero diritto anch'esse ad essere veicolate insieme alle altre o si dovrebbe creare una membrana digitale capace di fermare ogni batterio che già infetta la realtà in cui viviamo?
Questo è l'interrogativo che in molti si pongono negli ultimi tempi, con la nascita di numerosi gruppi Facebook dedicati alla pedofilia, alla mafia e (addirittura!) agli stupri di gruppo. Sorgono in sordina, in pochi si iscrivono per reale passione, in molti lo fanno solo per insultare i legittimi creatori, ma il fatto stesso che a qualcuno venga in mente di creare una piattaforma in cui riunire tutti i fan di un boss malavitoso o di un atto deprecabile può essere considerato un elemento di riflessione sulle motivazioni che spingono il singolo individuo a comportarsi in questo modo.
Facebook, il social network incriminato di aver dato la possibilità di creare tali gruppi, è uno strumento molto semplice da usare. Ci si registra, si compilano pochi campi e si chiamano a raccolta gli amici: a questo punto si è già all'interno di una rete globale di proporzioni smisurate, e ogni nostra azione è sotto l'occhio di un pubblico molto più grande di quello che ci possiamo immaginare. "Condivisione" è la parola d'ordine del social network più popolato della rete e gli utenti (chi più chi meno) si iscrivono e creano gruppi per manifestare le proprie preferenze, per arricchire se stessi su quel palcoscenico digitale che è Facebook. Ma se è vero questo, vuol dire che chi ha creato un fan club di un boss malavitoso o inneggiante al razzismo percepisca come “validi” i valori che sottendono queste pratiche o queste figure, oppure percepiscono il tutto come un gioco.
Si potrebbe, quindi, pensare un modo per filtrare questi contenuti per impedire a tutti coloro che, per gioco o per convinzione, credono in questi valori di ammorbare la rete con le loro parole, con le loro immagini. Ma come? Imponendo a Facebook un controllo più capillare? Istituendo un ufficio per la morale sul web che sovrintenda a tutti i suoi contenuti? La rete è nata come zona libera da sovranità e controlli superiori: imporne uno adesso, anche se a fin di bene, non solo sarebbe estremamente complicato ma rappresenterebbe la fine del web nel suo senso più puro.
Se su Facebook esistono dei gruppi che inneggiano alla violenza e a valori morbosi vuol dire che nel mondo, in Italia, ci sono persone che considerano questi valori come accettabili. Oppure non li considerano affatto come valori, ma solo come parole arroventate con le quali creare un po' di “rumore” in rete, sensazionalismo, scalpore. Magari guadagnarsi qualche gettone presenza in qualche talk show ed essere invitato come ”autore del fan club dello stupro collettivo”.
Non sono d'accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire. Questa frase solitamente viene attribuita a Voltaire: in effetti ci sono dei dubbi rispetto alla sua effettiva paternità ma incarna pienamente il punto su cui sviluppare la questione: è giusto togliere la possibilità di parola in un luogo libero, dove non esiste un pensiero e una morale dominante? Tralasciando il caso dei gruppi Facebook inneggianti ai casi più indecorosi, è possibile creare una vigilanza veramente efficace, capace di sorvegliare sui contenuti? No, non credo. Tale soluzione comporterebbe l'ingresso di un'entità superiore all'interno del web, di una sovrintendenza che automaticamente limiterebbe la natura stessa della rete. E questo non può accadere, altrimenti si perderemmo l'unico canale di comunicazione libero che ci è rimasto.
Piuttosto che limitarlo, dovremmo imparare a usarlo meglio!