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Guerrilla o spot?

23/06/2009 12:30:00 33958 lettori
5 minuti

Ci sono un sacco di modi per far parlare di sé. Più cresce la saturazione e l’affollamento nel “mercato dei messaggi”, più questi modi evolvono, si strutturano, si intrecciano, diventano  raffinati.

In pubblicità cominciano a diffondersi da alcuni anni le tecniche del cosidetto guerrilla marketing. Spesso si confonde il guerrilla (che punta sull’effetto sopresa e l’intromissione divertente, secondo uno schema di pensiero molto “situazionista”) con altre forme di pubblicità non-convenzionali come l’ambient, il viral marketing… (anche se spesso i generi si ibridano fra loro).

L’obiettivo comune di queste forme pubblicitarie è sotanzialmente vincere l’indifferenza, abbattere il muro del silenzio e dell’irrilevanza, sfuggire al risucchio del rumore di fondo che tutto fagocita. Una tendenza degli ultimi tempi sembra essere quella del flashmob, soprattutto nei paesi anglosassoni.

Il flashmob è una forma di guerrilla marketing che prevede un’azione di massa da parte di un gruppo di persone, che si riuniscono all’improvviso in un luogo prestabilito, creando ovviamente un effetto sorpresa, per poi disperdersi con la stessa rapidità con cui erano comparse.

Un video che rende l’idea è stato effettuato per il lancio del reality show Hammertime. A una seconda visione del documento però si resta perplessi da alcuni aspetti: la continuità con cui sono montate le riprese, la presenza di più videocamere, con i relativi operatori, e la perfetta qualità delle immagini. Si è svolto un vero flashmob o è solo uno spot mascherato da flashmob? Se n'è discusso nel blog di Zooppa e non solo.

Non sarebbe il primo caso in cui l’azione di guerrilla non si svolge davvero, ma è solo rappresentata, una finzione ben costruita. Tutto è programmato, tutti sono consenzienti, si gira un video che sembra fatto per caso (e non lo è) e lo si fa circolare per la rete con il marchio "incredibile, ma vero". Se il gioco funziona la campagna può dirsi riuscita. Però non è guerrilla marketing, ovvero nulla è avvenuto di imprevisto e situazionista in quel negozio, è piuttosto una raffinata operazione virale con uno spot che usa il guerrilla come stilema. E in questo caso?

Sicuramente le riprese sono finto-amatoriali, per accentuare l'effetto-verità e l'effetto-sorpresa. A un'analisi attenta appare abbastanza evidente infatti come siano eseguite da bravi operatori (ce ne sono 3 o forse 4) con telecamere non proprio da quattro soldi. Sicuramente - a differenza dei flashmob "duri e puri" - le persone non sono raccattate per la strada e coinvolte nel gioco: questi sono ballerini addestrati. Sicuramente il punto vendita è non solo consenziente, ma protagonista: la musica in negozio su cui ballano le persone non è certo in onda per caso.

L'unico dubbio resta a proposito dei clienti del negozio. Sapevano in anticipo oppure no? Solo se incosapevoli saremmo di fronte a una vera azione di guerrilla marketing, altrimenti quello che vediamo è solo uno spot in presa diretta, puro e semplice. Onestamente non saprei. Le reazioni dei clienti appaiono  troppo naturali per essere finte o recitate. Allo stesso tempo però, a giudicare dalla vicinanza dei punti di ripresa, non credo che gli operatori potessero passare inosservati con le loro telecamere. Insomma, il dubbio resta.

Le azioni di guerrilla marketing sono senza dubbio fenomeni interessanti e spettacolari. Però la mia impressione è che spesso si definisca guerrilla ciò che non è. E che in nome di una moda si dia con molta leggerezza la patente di azione-verità a operazioni sicuramente virali ma non così spontanee e situazioniste come si vorrebbe far credere. Il tema, in sè, sarebbe irrilevante se non si volesse marchiare come "zero budget" certe azioni pubblicitarie. Evidentemente non lo sono.

Alessandro Cappellotto
Alessandro Cappellotto

Sono un copywriter. Amo l'advertising e la creatività. Ho lavorato in due differenti agenzie pubblicitarie. Ho fatto il direttore creativo nella seconda per alcuni importanti clienti. Ho scritto per Geox, Jacuzzi, Ballarini, Atala. Ho partecipato a Zooppa per la prima volta nell'estate 2007. Me ne sono immediatamente innamorato. Ho vinto premi nei contest Pago e Citroen, e il BigZooppa Award nello Zooppa Contest. Qualcuno all'interno del sito ha pensato che sarebbe stato bello se fossi andato a lavorare lì. Così è stato e mi hanno messo a fare il community manager di Zooppa. Sono un giovane ragazzino di 34 anni, con una moglie e tre bimbi. Sposarmi con Donatella è stata la mia più grande idea.