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Pop è la parola del mese di luglio

26/08/2009 10198 lettori
4 minuti
Un entusiasta Tullio De Mauro, nella prefazione alla prima edizione (1985) della Storia della canzone italiana di Gianni Borgna, ribadiva l’importanza dei testi di motivi popolari e orecchiabili, sottolineata in una nota di diversi anni prima, osservando come la nostra lingua, faticosamente strutturatasi in norma, fosse debitrice alla canzone “leggera” per «molto del nuovo folclore, molti moduli proverbiali e modelli d’italiano d’alta circolazione»; come non fosse difficile assegnare a Zazà o Eulalia Torricelli, «a petto d’una letteratura troppo spesso a gote gonfie, superciliosa, oscillante tra melodrammatici brandi e romani cementi, mura, archi e procombimenti», la palma di «piccoli capolavori» degli anni Quaranta.
«Se sfogliamo i testi selezionati da Borgna», così egli concludeva la sua appassionata difesa del genere canzonettistico nostrano, «gli elementi costitutivi del nuovo folclore ci vengono incontro, spesso guizzanti di ironici ammiccamenti e toni»:
 
L’Italia s’è desta; Venite all’agile barchetta mia; Addio, mia bella addio…; Si scopron le tombe; si levano i morti; Va fuori d’Italia, va fuori stranier (con un ammodernamento del testo); Jammo ’ncoppa jà; Vorrei baciare i tuoi capelli neri; Scétate Carulì ca ll’aria è doce!; Che bella cosa na jurnata ’e sole; E noi faremo come la Russia / e squilleremo il campanel; Stretti, stretti / nell’estasi d’amor; Addio mia bella Napoli mai più ti rivedrò; T’aggio voluto bene a tte!; No, cara piccina no, così non va; Come pioveva; C’eravamo tanto amati; All’armi siam fascisti; Salve o popolo d’eroi; A mezzanotte va, la ronda del piacere; Mamma!, mormora la bambina; Solo per te Lucia / va la canzone mia; Noi siam come le lucciole; Lodovico, / sei dolce come un fico; Signorinella pallida; Tutta la legna è diventata cenere; Brindisi coi bicchieri colmi d’acqua; Nemica dell’amore / è la sincerità; Ma Milan, l’è on gran Milan; Non dimenticar le mie parole; Un’ora sola ti vorrei; Dolce chimera sei tu; Ma Pippo, Pippo non lo sa; Abbassa la tua radio per favore; Ma l’amore no; Solo me ne vo per la città; Vengo anch’io! No, tu no…
 
Si potrebbe allungare questa rassegna di celebri titoli, incipit e spezzoni di canzoni pop, che giunge agli anni Sessanta, con moltissimi altri di motivi e motivetti che si sono impiantati nella memoria collettiva da quegli anni (canticchiati in qualche caso, sull’onda del successo del brano-tormentone ospitante, a mo’ di jingle pubblicitari) fino alle soglie del terzo millennio:
 
Il cielo in una stanza (1960, Gino Paoli); «Il suo nome era Cerutti Gino / ma lo chiamavan drago» (La ballata dei Cerutti, 1961, Giorgio Gaber); Guarda come dondolo (1962, Edoardo Vianello); «Sapore di sale, / sapore di mare» (Sapore di sale, 1963; Gino Paoli); «Che cosa c’è, / c’è che mi sono innamorata di te» (Che cosa c’è, 1963, Ornella Vanoni); Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte (1963, Gianni Morandi); «Una rotonda sul mare / il nostro disco che suona» (Una rotonda sul mare, 1964; Fred Bongusto); Non ho l’età (1964, Gigliola Cinquetti); «Mi sono innamorato di te / perché non avevo niente da fare» (Mi sono innamorato di te, 1965; Luigi Tenco); «Nessuno mi può giudicare, / nemmeno tu!» (Nessuno mi può giudicare, 1966; Caterina Caselli); «Seduto in un caffè / io non pensavo a te» (29 settembre, 1967; Equipe 84); Bocca di rosa (1967, Fabrizio De André); «Azzurro / il pomeriggio è troppo azzurro» (Azzurro, 1968; Adriano Celentano); «Questa di Marinella è la storia vera» (La canzone di Marinella, 1968; Fabrizio De André); «Fin che la barca va, lasciala andare» (Fin che la barca va, 1970; Orietta Berti); «Non restare chiuso qui pensiero» (Pensiero, 1971; Pooh); «Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi / le tue calzette rosse» (La canzone del sole, 1971; Lucio Battisti); «Piccolo uomo, non mandarmi via» (Piccolo uomo, 1972; Mia Martini); «Quella sua maglietta fina» (Questo piccolo grande amore, 1972; Claudio Baglioni); «Parole, parole, parole» (Parole parole, 1972; Mina e Alberto Lupo); «La libertà è partecipazione» (La libertà, 1972; Giorgio Gaber); «Pazza idea / di far l’amore con lui» (Pazza idea, 1973; Patty Pravo); «Ma tutto questo Alice non lo sa» (1973, Alice; Francesco De Gregori); «E adesso spogliati, come sai fare tu» (Bella senz’anima, 1974; Riccardo Cocciante); Buonanotte fiorellino (1975, Francesco De Gregori); Ma il cielo è sempre più blu (1975, Rino Gaetano); Alla fiera dell’est (1976; Angelo Branduardi); «Caro amico ti scrivo / così mi distraggo un po’» (L’anno che verrà, 1978; Lucio Dalla); «Il triangolo, no / non l’avevo considerato» (Triangolo, 1978; Renato Zero); «C’è una ragione che cresce in me» (Un’emozione da poco, 1978; Anna Oxa); Splendido splendente (1979; Donatella Rettore); «Comprami / io sono in vendita» (Comprami, 1979; Viola Valentino); «Il carrozzone va avanti da sé / con le regine, i suoi fanti, i suoi re» (Il carrozzone, 1979; Renato Zero); Je sò pazzo (1979, Pino Daniele); «Vincenzo io ti ammazzerò / sei troppo stupido per vivere» (Milano e Vincenzo, 1979; Alberto Fortis); Cogli la prima mela (1979, Angelo Branduardi); «Il kobra non è un serpente» (Kobra, 1980; Donatella Rettore); Sono solo canzonette (1980, Edoardo Bennato); «Prendi una donna, trattala male» (Teorema, 1981; Marco Ferradini); «Strada facendo vedrai / che non sei più da solo» (Strada facendo, 1981; Claudio Baglioni); «Cerco un centro di gravità permanente» (Centro di gravità permanente, 1981; Franco Battiato); Un’estate al mare (1982, Giuni Russo); Non sono una signora (1982, Loredana Berté); «Voglio una vita spericolata / voglio una vita come quelle nei films» (Vita spericolata, 1983, Vasco Rossi); Vamos a la playa (1983, Righeira); «Questo amore è una camera a gas» (Fotoromanza, 1984; Gianna Nannini); «Siamo ragazzi di oggi, / pensiamo sempre all’America» (Terra promessa, 1984; Eros Ramazzotti); Si può dare di più (1987, Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi); «Tu che sei diverso / almeno tu nell’universo» (Almeno tu nell’universo, 1989; Mia Martini); Hanno ucciso l’uomo ragno (883, 1991); Ci vuole un fisico bestiale (1992, Luca Carboni); «Io penso positivo perché son vivo, / perché son vivo» (Penso positivo, 1993; Jovanotti); Il battito animale (1993, Raf); Vorrei incontrarti fra cent’anni (1996, Ron e Tosca); «La cambio io la vita che / non ce la fa a cambiare me» (E dimmi che non vuoi morire, 1997; Patty Pravo); «Dammi tre parole: sole, cuore e amore» (Tre parole, 2001; Valeria Rossi).
 
Alcuni degli autori a cui sono stati rubati questi esempi, e diversi altri che si potrebbero comprendere nella serie, potrebbero rivendicare senz’altro un posto di diritto in un’antologia poetica musicale, che nulla avrebbe da invidiare a un’antologia poetica tout court. Non solo, com’è ovvio, un Conte o un De André ma ancora Francesco De Gregori, Ivan Graziani, Eugenio Finardi, Roberto Vecchioni, Antonello Venditti, Vasco Rossi, Gianna Nannini, Jovanotti, Carmen Consoli. «Ma che politica! Ma che cultura! Sono solo canzonette». Oggi, davvero, non più. Assai più che scampoli di poesia nei casi migliori; altrimenti tracce preziose su cui rifare a ritroso il cammino verso il recupero di eventi centrali o importanti della nostra storia e della nostra identità collettiva.