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Inciucio: la parola del mese di febbraio

05/04/2010 22:00:00 8088 lettori
5 minuti

Inciucio è parola del linguaggio politico (e giornalistico) degli anni Novanta, rilanciata appena qualche mese fa. Sintomatica del passaggio da una Prima Repubblica –  quella, per intenderci, delle convergenze parallele di Aldo Moro – un po’ aristocratica, e molto compresa di sé, a una Seconda Repubblica a misura (ma è solo apparenza) del cittadino comune, è indubbiamente espressiva. Ben altra però l’espressività a cui ci hanno abituato i politici odierni, Berlusconi (i comunisti coglioni) e Bossi in testa. Per quest’ultimo parla la lunga teoria degli insulti portati, nella fase caldissima proprio degli anni Novanta, a vari esponenti politici: Andreotti (“l’unico gobbo che porta sfortuna”), dalla Chiesa (“Nando dalla Cosa nostra”), De Mita (“brutto anche di notte”), Fini (“cagnolino al guinzaglio dei boiardi”), Occhetto (“assomiglia al suo nome”), Rauti (“stortignaccolo come il suo partito”), Scalfaro (“gendarme del sistema”), Segni (“un travestito della politica”).

Qualcuno ricorderà ancora il leader leghista quando, incapace di trattenersi davanti alle camicie verdi riunite in congresso a Padova, mostrò un bel dito medio alzato verso il cielo per dare icastica sostanza alle sue parole: “Non dobbiamo più essere schiavi di Roma. L’inno dice che ‘l’Italia è schiava di Roma…’; toh!, dico io”. Molto meglio l’inciucio, diciamo noi. Non sarà proprio il massimo dell’etica e della trasparenza, ma almeno ci mette al riparo dalla volgarità.

 

             Massimo Arcangeli