Festival: perché l'avete scelta come parola del mese di marzo
Da tempo il popolo festivaliero dei ruggenti anni Sessanta non esiste più ma, forse, non esiste più nemmeno il popolo. L’atmosfera festaiola sanremese è trasmigrata altrove, negli ambienti sempre più trasgressivi del moderno festino (ne ha fatta di strada rispetto al “trattenimento signorile” di un tempo); e le canzoni, a Sanremo, intonate sempre più spesso anche da chi cantante professionista non è, sembrano essere diventate una mera occasione per inscenare pantomime, anche all’insegna della provocazione verbale gratuita. Tutto, a dirla con Beaumarchais, sembra sia finito nella solita canzonetta. A impedire che un popolo di poeti, artisti, eroi, santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori divenga anche un popolo di chansonnier ci pensano i troppi che, sollecitati più volte a cantare, si guardano bene dal farlo. Riadattando un’affermazione di Eric Berne, lo psicoterapeuta americano fondatore dell’analisi transazionale: se non c’è speranza per l’italianità, ci sia almeno speranza per i singoli italiani.