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La rappresentazione della donna nella pubblicità 1

17/01/2004 56299 lettori
5 minuti

1. Gli effetti dei mass media

[Questo lavoro si occuperà esclusivamente degli effetti a lungo termine che un particolare tipo di contenuto mediale, la rappresentazione della donna nella pubblicità, ha sulla società; si è dunque scelto di non affrontare la questione degli effetti a breve termine]

McQuail colloca tra gli effetti non deliberati e a lungo termine dei mass media il controllo sociale, la socializzazione, la definizione della realtà e il mutamento istituzionale ed esemplifica il processo di controllo sociale e di formazione della coscienza in questo modo:

FONTE

CONTENUTO

PRIMO

EFFETTO

SECONDO EFFETTO

TERZO EFFETTO

Fonti multiple non specificate

Media in generale

Messaggio con una struttura stabile e sistematica

Patrimonio condiviso di conoscenze, valori, opinioni, cultura

Selezione e risposta differenziati (da parte del pubblico)

Socializzazione

Definizione della realtà

Distribuzione della conoscenza

Controllo sociale


Come osserva lo stesso McQuail, la partecipazione dei mass media alla socializzazione iniziale dei bambini e alla socializzazione a lungo termine degli adulti è ampiamente riconosciuta, sebbene sia praticamente impossibile provarla (N.B. ciò è dovuto in parte al fatto che si tratta di un processo di lungo periodo e in parte perché qualsiasi effetto dei media interagisce con altre influenze provenienti dal background sociale e con modelli variabili di socializzazione all’interno delle famiglie); esistono comunque moltissimi studi su questo tema.

Due teorie rendono conto di come i mass media interverrebbero nel processo di socializzazione. La teoria del modellamento venne formulata negli anni ’60 dallo psicologo A. Bandura. Egli, partendo dall’osservazione che i mass media presentano moltissime descrizioni della vita sociale, indicò le fasi del processo di modellamento:

un singolo membro di un pubblico osserva nel contenuto mediale un modello (una persona) che esplica un certo tipo di azione; l’osservatore si identifica col modello, che ritiene quindi degno di imitazione; l’osservatore riconosce che il comportamento osservato è funzionale, ovvero produce effetti desiderabili, se imitato in una certa situazione; l’individuo ricorda e riproduce il comportamento del modello (risposta) quando si trova in circostanze pertinenti (stimolo); in questo modo, l’individuo trae delle gratificazioni, così il legame stimolo – risposta (suggerita dal modello) è rinforzato positivamente; questo rinforzo aumenta le probabilità che l’individuo dia ripetutamente la medesima risposta a stimoli simili. Questa teoria riguarda l’influenza indiretta e a lungo termine sull’azione individuale; l’influenza indiretta e a lungo termine sull’azione collettiva (cioè sulla società) è spiegata dalla teoria delle aspettative sociali, di derivazione sociologica. In breve, essa afferma che i mass media danno delle rappresentazioni affidabili o meno dei modelli consolidati di vita di gruppo, rappresentazioni che in ogni caso diventano l’insieme appreso di aspettative sociali circa il modo in cui ci si aspetta che agiscano i membri dei vari gruppi che compongono la società. Queste aspettative forniscono dunque da un lato delle indicazioni sul comportamento da tenere verso gli altri membri del proprio gruppo, dall’altro delle conoscenze sul comportamento dei membri degli altri gruppi.

1.1 Gli effetti della pubblicità

A noi, qui, interessa però conoscere nello specifico gli effetti che la pubblicità esercita sulla società.

Innanzitutto, bisogna dire che la pubblicità “ragiona” per modelli in quanto, data la vastità e l’eterogeneità del pubblico, si rende necessaria la creazione di un numero limitato di stereotipi per ridurre la complessità. Come sostengono Pratkanis e Aronson, poi, la persuasività di questi modelli è dovuta a due motivi:

  1. insegnano nuovi comportamenti, che vengono ripetuti perché si crede così di ricevere le stesse ricompense ricevute dal modello per quel comportamento (ritorna qui ‘la teoria del modellamento’);
  2. sono un segno che certi comportamenti sono legittimi e appropriati.

Dunque, i modelli pubblicitari funzionano perché sono fonti credibili e attraenti, e quindi non sono utili solo a vendere prodotti, ma, potenzialmente, anche a rafforzare valori e ad insegnare stili di vita. Per Wernick, la pubblicità sarebbe addirittura la principale istituzione moderna incaricata della circolazione e della distribuzione dei valori ideologici: esprimendo al suo interno valori conservatori, essa contribuirebbe al mantenimento dell’ordine capitalistico. Ad ogni modo, dato che la funzione primaria della pubblicità è vendere, il ricorso a valori ideologici rimane puramente strumentale.

2. La donna nella pubblicità

C. Pallotta, in un saggio sugli stereotipi femminili della pubblicità italiana, afferma che la pubblicità è una “proposta di rappresentazione per sé e per la propria esistenza, come racconto di un quotidiano pacificato e proiettato verso insperati cambiamenti e leggerezze. La pubblicità è connessa al sogno più che al bisogno, alla seduzione più che all’informazione, ha carattere emotivo e sensuale.” Seduzione, sensualità… ma non sono queste dimensioni tipicamente femminili? E nella pubblicità, infatti, la figura femminile è più presente di quella maschile: essa è chiamata in causa sia direttamente che indirettamente.

Presentiamo un’analisi del contenuto della rappresentazione della donna nella pubblicità. Data la vastità del materiale pubblicitario disponibile (annunci stampati, spot televisivi…) si è scelto di delimitare l’analisi alla pubblicità che appare in un corpus di riviste femminili, rivolte a fasce d’utenza differenti, pubblicate in Italia e in Europa nel periodo novembre – dicembre 2002. Il corpus è composto, nello specifico, da: Chi (settimanale, Italia); Donna moderna (settimanale, Italia); Grazia (settimanale, Italia); Cosmopolitan (mensile, Italia); Amica (mensile, Italia); Marieclaire (mensile, Italia); Vogue (mensile, Italia e Francia); Harper’s Bazaar (mensile, UK); I-D (mensile, UK). Sulla base di uno studio di E. Kermol e M. Beltrame, di cui si parlerà meglio tra poco, si è proceduto poi ad una divisione in categorie dei vari modelli socio-culturali femminili individuati e alla compilazione di una relativa griglia.



2.1 Il modello di Kermol e Beltrame

E. Kermol e M. Beltrame hanno condotto tra l’agosto 1997 il febbraio 1998 un’analisi degli stili di vita maschili e femminili in rapporto ai modelli proposti dalla pubblicità nei periodici della carta stampata. I ricercatori hanno somministrato ad un campione di giovani (la categoria maggiormente influenzata dai modelli proposti dai media) un questionario in cui si chiedeva di giudicare i 26 modelli socio-culturali femminili e maschili (riportati qui di seguito) individuati mediante la selezione e il confronto di un vasto campione di pubblicità presenti in periodici femminili, di informazione, di cultura e non specifici.

Modelli femminili (14) Modelli maschili (12)
La seduttrice Il seduttore
La sportiva L’uomo sportivo
La ragazza acqua e sapone
La romantica Il romantico
La moglie Il marito
La madre Il padre Il pater familias
La casalinga tradizionale La casalinga professionista Il casalingo
La manager Il manager
La narcisista Il narcisista
L’erotica
L’ambigua L’ambiguo
La donna oggetto L’uomo oggetto
L’intellettuale L’intellettuale

Da questa ricerca è emerso che questi modelli rispecchiano soltanto alcuni dei ruoli presenti all’interno delle diverse classi sociali, e proprio quelli più tradizionali e convenzionali: la logica sulla quale opera la pubblicità risulta così essere quella dei modelli consolidati. Dunque, la pubblicità non può essere considerata fonte di trasformazione sociale in quanto tende a frenare, piuttosto che a stimolare, le innovazioni, rinnovandosi solo quando ciò è efficace per un suo effettivo funzionamento.

LA SECONDA PUNTATA

Gloria Pericoli
Gloria Pericoli

Per conoscermi visita il mio sito: www.glogloria.net