Bavaglio - la parola del mese di giugno
Più delle scene strazianti di dolore, degli edifici rasi al suolo, dei cumuli di macerie, del recente terremoto abruzzese ricordo l’interminabile minuto e mezzo di sconcertante snocciolamento dei punti di share di una famigerata edizione del TG1 che ha suscitato, specialmente sul Web. ondate di proteste.
Il baratto della corretta informazione, del pubblico senso del pudore, del rispetto per le vittime dell’ennesima tragedia con la logica sciacalla e perversa dei dati d’ascolto: la manipolazione o l’enfatizzazione delle notizie in agenda per fini non dissimili da quelli cui piega l’ottica spettacolare. Il servizio di un giornalista che assume il punto di vista del crimine, parlando di mafia con il linguaggio della mafia o di fatti di droga con il gergo degli spacciatori, non può certo dirsi un buon esempio di servizio pubblico. Lo stesso dicasi per la ricerca delle forti tinte, ottenute sbattendo in televisione vicende drammatiche o dolorose e seguendole con occhio sadico, costringendo le telecamere a riprendere scene sanguinose e feroci, interrogando il malcapitato di turno con domande impudiche su episodi tragici della sua vita o ficcanasando nelle sue vicende private più segrete e inconfessabili («La tv è la metafora della morte dell’intimità», ha scritto Anthony Burgess).
A questa sedicente informazione (ma solo a questa, s’intende) un bel bavaglio lo metterei volentieri anch’io.
Massimo Arcangeli