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La critica dà il giusto merito e premia le grandi mostre di Como.

29/07/2011 6140 lettori
5 minuti

In settantacinquemila dal ventisei marzo scorso si sono anche accodati al richiamo di un’organizzazione per certi versi stupefacente pur nel sistematico svolgere di compiti con il ripetersi ormai da più anni. Forte dello slogan: «l’investimento culturale è necessario allo sviluppo di un’economia prospettica futura. Per Como la prospettiva è diventare una città della cultura, produttrice di cultura e far diventare Villa Olmo un centro internazionale». E supportati da pareri favorevoli e compatibili: «La bellezza è necessaria, come anche l’arte o la qualità estetica fanno parte del benessere culturale. Promuovere e realizzare una mostra è un progetto indispensabile alla crescita culturale di una comunità».

Grandi mostre a Villa Olmo, da Mirò alle pennellate inconfondibili di Boldini e quelle di altri maestri italiani come De Nittis, Zandomeneghi e Corcos. Un succedersi di buoni risultati, anche se con una discutibile fruibilità culturale: «non sempre gradevolezza e soddisfazione sono appannaggio dei molti». Tocca anche noi la necessità di ripeterci: «la pittura ha un'innegabile facilità di fruizione rispetto alle altre forme artistiche». Un distinguo però è d’obbligo: separare la prerogativa del godimento dell’opera d’arte, in quanto esperienza estetica privilegiata al fine conoscitore o ad una ristretta cerchia di pochi fortunati; instaurare un dialogo con la comunità locale e le istituzioni pubbliche, ma anche consolidare il senso d'appartenenza e stimolare la creatività nel proprio ambiente. Il sistema vuole essere un punto di riferimento per esplorare e cogliere le potenzialità dell’investimento in cultura, una risorsa per attivare e mantenere il dialogo con la comunità; uno stimolo per le amministrazioni pubbliche ad interpretare al meglio il loro ruolo di “regia”, indispensabile per creare un circolo virtuoso in grado di produrre benefici per il territorio e la collettività.

Settantacinquemila visitatori, dell'ottavo maxi evento, soddisfano i curatori: certamente positivo il riscontro con i parametri di budget, altrettanto soddisfacente la visibilità e lo smercio editoriale. Manca un altrettanto cospicuo numero di visitatori indigeni evidentemente dissuasi dalle vicissitudini congiunturali emunicipali. Tutto lascia pensare che condizioni disattese - vuoi per la crisi in atto, vuoi per un certo discredito sull’amministrazione comunale - fanno velo all’intento della curatela, e all’Assessore alla Cultura, riguardo l’apporto delle mostre: in quanto contributo alla valorizzazione urbana che porta con sé innovazione di processo, modificandone la funzione dal punto di vista della comunicazione e della sua interfaccia immateriale. 

«Aggiungono conoscenza e promuovono non più solo la pianificazione urbana lineare, ma cicli strategici di valorizzazione, autoalimentando la ricerca attorno allo sviluppo della città contemporanea con sperimentazione, verifiche puntuali, contatto diretto con i cittadini». Sono pensieri di Sergio Gaddi, ripresi da uno dei tanti cataloghi delle mostre; e ancora: «la reciprocità stabilisce schemi di relazione che si mantengono nel tempo e creano legame sociale, a differenza di quanto è effetto tipico dei meccanismi del mercato. (…) Questi aspetti non possono essere ignorati o guardati con sufficienza, ma inseriti nelle politiche di divulgazione culturale di qualità, che a sua volta è uno degli strumenti più forti di urban branding di costruzione dell’identità competitiva delle città». 

Un tripudio anche della critica che dà il giusto merito e premia le grandi mostre di Como. E poi la notte che conclude: è stata un tuffo nello sfavillio, nelle musiche e nei costumi del can can del Moulin Rouge e dei caffè parigini. Emozioni a non finire nell'atmosfera della Parigi di fine Ottocento e le grandi dame con cui si è fatto scendere il sipario sull’ottavo maxi evento nella villa settecentesca al grido di «avanti a tutta con le mostre» del Prof. Daverio. A conclusione una dovuta riflessione sulla Belle Époque: il periodo della storia d’Europa caratterizzato da un roboante sviluppo, da un’incrollabile fede nel progresso e dalla spensieratezza. Un momento dove tutto sembrava permesso e possibile, grazie anche alle continue scoperte della scienza.

 

Fonte
La provincia di como.it
Foto by Pozzoni Carlo

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.