E’ vero che gli strumenti del marketing sono diventati più democratici, però…
Uno degli aspetti più significativi dell’evoluzione tecnologica degli ultimi anni è stata senza dubbio la democratizzazione dei mezzi di produzione, iniziata ormai diversi anni orsono con le stampanti domestiche e i word processor e proseguita con tutta una serie di software e hardware che permettono oggi la produzione e distribuzione di contenuti e prodotti digitali anche da parte dei privati.
I social media poi hanno reso ancora più clamorosa questa situazione, in quanto si tratta di mezzi che nascono dagli utenti per gli utenti, con le aziende costrette ad interagire in una posizione quasi di svantaggio. Questa comunicazione veloce si alimenta soprattutto dall’interazione fra gli utenti, che fa crescere anche dei contenuti in partenza modesti.
In molti casi dunque, come già discusso in altri post, dei giovani utilizzatori si trovano ad essere più pratici di social media marketing dei manager delle aziende, che stanno faticando ad entrare nel nuovo paradigma, per ragioni essenzialmente culturali.
Leggendo però tanti commenti (anche sensati) sull’iniziativa #nofreejobs in questi giorni sento il bisogno di ribadire che l’essere pratici (se notate non ho detto “esperti”) non è un viatico automatico per essere dei professionisti pronti a gestire la strategia digitale delle imprese, in quanto:
a) bisogna parlare la lingua dell’azienda e capirne i mercati, il target, gli obiettivi
b) non è solo un fatto di creatività, perché bisogna capire anche l’ecosistema digitale nel complesso, che non è fatto solo di social media
c) i mezzi sono una parte del film, poi ci vanno i contenuti
d) bisogna essere in grado di aiutare il cambiamento culturale verso i nuovi paradigmi, che impattano anche sull’organizzazione.
Dunque le persone che oggi vogliono lavorare nelle aziende per sviluppare la strategia digitalenon possono pensare di essere già pronte per aver fatto qualche tweet o una pagina Facebook, ma devono avere l’umiltà di passare per dei momenti di formazione, anche se retribuiti e correttamente impostati con una durata temporale finita.
Il problema casomai è che oggi nelle nostre imprese ci sono ancora pochi reali professionisti che possano favorire questo percorso di formazione, infati il digitale è affrontato senza strategia mentre gli eventi di settore vedono solo la partecipazione degli addetti ai lavori.
Se ci aggiungiamo un mercato del lavoro rigido e l’utilizzo frequente di stage e tirocini come modalità di lavoro non retribuito credo proprio che per crescere ci sia ancora del lavoro da fare, a livello di cultura, di riconoscimento della professionalità e di normative…oltre che di agenda digitale.
Che ne pensate?