Le esposizioni di grande scala
«La grande mostra è un collaudato mezzo di comunicazione che si offre alla reazione del pubblico cui si rivolge. In una logica espositiva del proprio spazio, attraverso la composizione e sistemazione di documenti e oggetti, acquisisce senso e significato diverso la cui complessità giunge perfino a rappresentare una pluralità di visioni sul mondo». Muovendo da propri interessi, approssimandosi alla mostra, è capitato guardare alla mostra stessa e alla sua struttura «come paradigma delle trasformazioni e dei cambiamenti che si possono riconoscere nella città e nella società». Come riportato sull’enciclopedia[1]: «le mostre sono certamente il teatro, dove l’intreccio tra opera d’arte, artista, curatore, pubblico, contesto espositivo e mercato produce i suoi effetti più significativi in materia di promozione dell’artista, di politica culturale e naturalmente di valore, economico ed estetico, dell’arte stessa. Non a caso, rispettando le relative variabili di valutazione, il successo di una rassegna temporanea è sempre più spesso misurato, da un lato, sulla base dei commenti delle opinion leaders: (critici, curatori, galleristi, artisti, storici ecc.), che esprimono pareri e punti di vista riguardanti al sistema di relazioni e conoscenze interne all’arte contemporanea, dall’altro, invece, sulla base del consenso pubblico e del numero di visitatori che ne varcano la soglia» (Frey 2005).
Le problematiche sollevate dalla mostra «La città nuova. Oltre Sant’Elia», sono state motivo di discussione e approfondimento in due importanti occasioni, con l’intervento di Vittorio Gregotti, uno dei più autorevoli protagonisti della cultura architettonica italiana, e con una conferenza affidata a Marco De Michelis che della mostra di Villa Olmo è stato il curatore. Nel primo incontro, Vittorio Gregotti ha discusso, con un folto pubblico, sempre con Marco De Michelis, sulle prospettive che da questa mostra scaturiscono affrontando il tema «Il futuro della città del futuro». Chiusa la mostra «La Città Nuova oltre Sant’Elia», passata in rassegna quale grande mostra di Villa Olmo: «cento anni di visioni urbane» promossa dal Comune di Como in discontinuità con il passato. Lo scenario dell'omaggio a Sant'Elia usato come «trampolino di lancio» per la conoscenza del futurista lariano sul mercato delle mostre nazionali radicandolo nella cultura lariana: è stata, in verità, un’intuizione di costanza culturale. Evidentemente è un punto di vista prettamente personale e per certi versi arbitrario rispetto ai deputati dispensatori di cultura.
Progetto Boston-Como: nato da un’idea di Fabrizio Bellanca e curata da James Hull e Carolina Lio, un versatile e movimentato piano culturale; si è svolto fino al ferragosto nella città di Como. Una trovata la cui naturalezza si è potuta manifestare nella concretezza condivisa, fatta salva una singolare lettura voluta tentare a livello personale. «L’idea di Occidente è una forzatura teorica o una realtà? Seguendo questo filo conduttore, sotterraneo e non subito individuabile, le opere sono state distribuite nelle sedi espositive principali, secondo un criterio tematico: nell’ex chiesa di San Pietro in Atrio si contrappongono l’elemento naturale e quello artificiale dell’architettura». L'antropizzazione: il tempo, il dubbio e le leggi di natura.
Divagando su un frammento d’America ritratto: il profilo inconfondibile dei monti Teton che staglia imponente dietro gli antichi casolari di legno costruiti dai coloni Mormoni oltre un secolo fa nell’ampia valle del fiume Snipe. All’inizio dell’estate il contrasto cromatico fra il bianco dei nevai che ancora infiocchettano le cime, il verde intenso dei prati che rinascono dopo il lungo inverno e l’azzurro luminoso del cielo di giugno dona il paesaggio, un’armonia quasi idilliaca. Istituito nel 1950 dopo decenni di resistenza della popolazione locale, il gran Teton è oggi uno dei parchi nazionali degli Stati uniti d’America. E fa parte insieme al vicino Yellostone e le altre aree protette della zona di un unico immenso territorio al riparo da urbanizzazione e antropizzazione.
Le esposizioni di grande scala hanno progressivamente abbandonato il precedente modello enciclopedico, spostando sempre più l’attenzione verso l’idea di offrire al pubblico e alla critica specializzata un’ampia indagine su un vasto panorama di ricerca artistica che proprio attraverso il sistema espositivo – spesso itinerante, con larga diffusione di stampa e ampia documentazione cartacea tramite cataloghi o pubblicazioni realizzate ad hoc – ha ottenuto una visibilità altrimenti impossibile. Accanto a questa vocazione alla divulgazione capillare, la grande esposizione è anche e soprattutto un’occasione per preparare un percorso, un esercizio d’investigazione di nuovi spazi di relazione tra arte e pubblico, tra arte e vita, utilizzando l’intera città e, in particolare, i suoi spazi non istituzionali, come ‘esche’ espositive. A questi eventi si guarda sempre più spesso come a veri e propri protagonisti del cambiamento sociale (effettivo o presunto).