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Vergogna è una parola scomparsa…

04/10/2013 6993 lettori
5 minuti

Un raggio di sole passava attraverso la fessura del lucernaio di ponente e andava a impattare una delle lucide caraffe in rame, disposte sul desco approntato nell’ampia cantina di casa. Il riflesso esplodeva sulle sfaccettature prismatiche della martellatura e si diffondeva irradiandosi nell'ambiente. L'effetto destò dal torpore, quanti si attardavano, dopo aver gozzovigliato in quel meriggio campagnolo. Una grossa lepre, un bel fagiano e alcune quaglie, preda di caccia, erano stati i principali ingredienti dell'abbondante pasto preparato e insieme consumato da una dozzina d'amici. Similmente al riflesso ciascuno si mosse in cerca dell’uscita. Solo in pochi si continuò a restare seduti. Il sole cominciava a calare oltre la collina e in conseguenza scemava l'effetto scintillante nel locale. La luce più soffusa e spazi più ampi disponibili, dava agio a quanti ancora indugiavano attorno al tavolo. Una musica suadente in sottofondo, completava l'ambiente conciliante per un tranquillo dialogare.

Alle prime ci trovammo a scrutarci l'un l’altro senza proferir parola. Fu sufficiente un buon caffè preparato dalla signora di casa e il tentativo di interloquire di qualcuno, per ridare vigore, rompere quel silenzio e ricreare l'atmosfera conviviale. Seguirono amene discussioni tra chi interagiva con racconti quasi fantastici e chi faceva considerazioni sulla mera quotidianità: alla descrizione di un viaggio, conseguiva l'esperienza di un evento; a una remora per un'esitazione avuta, succedeva l'ostentazione di qualche particolare soggettivo, compensata, per altro, dall’acume di chi era lesto a dare lo spunto a vivaci immaginazioni e narrazioni suggestive. Poi fu sera: una riflessione sui propri impegni quotidiani, un doveroso pensiero all'indomani, un affettuoso saluto, la «buona notte» e, separatamente, il rientro alle proprie dimore.

Concordanza d’atteggiamenti e affetti positivi, continuavano a legarci l’un l’altro. Sentimenti d’amicizia[1] che risalgono alla verde età e al periodo scolastico. Un baleno, e poi tutto si dissolse. Il transito dal vestibolo, per il ritiro dei propri soprabiti cortesemente porti dall’ospite, era l’ultima liturgia di quel cerimoniale che i fumi dell’alcol facevano trasformare, abitualmente, ogni atto nel compimento di quelle indicative ricorrenze. Un’occhiata al firmamento, una carezza al fido volpino, che era stato destato dal transito chiassoso, richiusa la porta e dopo averla sprangata, lesto per una nottata di sonno. Rimani desto, e continui a rigirati nel letto senza poter prendere sonno. Non capita spesso, ma succede che stenti a dormire e allora rimugini sul consiglio della nonna: quanto possa veramente essere d'aiuto un bagno caldo, una tisana o una buona lettura prima di andare a letto.

Ci pensi e prendi il primo libro che ti capita e, manco a dirlo, ti trovi a leggere una pagina che ti appassiona: alcune righe che oppongono in modo suggestivo gli uomini di successo e i falliti. «Ormai tutto congiura a farci scegliere i primi come modello di creatività, mentre in realtà essi sono tali solo perché s’adeguano all’onda dominante e sanno blandire e dire quelle cose che la massa vuole sentirsi dire. Il fallito è, invece, spesso chi ha voluto tentare strade nuove, è stato coerente con se stesso, non ha compiuto scelte solo motivate da calcolo e da vantaggi immediati. Ha fatto fiorire quell’uomo inedito che non è ancora apparso ma che è dentro le grandi e infinite possibilità dell’umanità. Certo, non si parla dei falliti per inerzia o stupidità, ma di quegli uomini liberi, puri e creativi che il mondo rigetta perché inquietano e sconvolgono i luoghi comuni e la banalità».

Gli uomini di successo sono uomini un po’ pericolosi, perché ratificano la cultura esistente, sono il suo prodotto e la sua legittimazione. I falliti sono spesso ricchi di umanità, perché hanno tentato di superare il sistema, di far fiorire l’uomo inedito che è l’insieme delle possibilità che ognuno di noi ha in sé. Incuriosisce l’affettazione con cui si argomenta nelle discussioni dell’amicizia essere virtù o strettamente congiunta con la virtù.

Secondo Aristotele comunque è ciò che c’è di più necessario alla vita, giacché i beni che la vita offre, come la ricchezza, il potere, ecc…non si possono né conservare né adoperar bene senza gli amici. La massima aristotelica dell’Amicizia «comportarsi verso l’amico come verso se stesso». Scriveva il celebre architetto quattrocentesco Leon Battista Alberti «solo è senza virtù chi non la vuole». Tratta dall’opera De beneficiis: «la virtù non è frutto di una cultura, non è appannaggio di uno stato sociale, non è privilegio di classe». Il cinese Confucio non esitava ad ammonire che «belle parole e un aspetto insinuante sono raramente associati con l’autentica virtù».

 

[1] L’Amicizia secondo Aristotele è, o una virtù o strettamente congiunta con la virtù: comunque è ciò che c’è di più necessario alla vita, giacché i beni che la vita offre, come la ricchezza, il potere,ecc…non si possono né conservare né adoperar bene senza gli amici. La massima aristotelica dell’Amicizia “comportarsi verso l’amico come verso se stesso”

 

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.