Oggi nasceva a Ginevra un grande della linguista del 900.
Saussure ha definito il segno, un’entità essenzialmente arbitraria. «Ciò che nel segno è “figura di pensiero”, cioè l’idea, non ha nessun legame originario e naturale con la “figura di parola”, cioè con l’espressione destinata a rendere l’idea di dominio comune. Né tantomeno l’idea è collegata metafisicamente al trascendente o al naturale, ma, così come l’espressione visibile o udibile che la rappresenta, ha un valore puramente convenzionale e utilitaristico, quindi sociale. Questa «doppia arbitrarietà» fa sì che nulla di originariamente metafisico o naturale sia inerente al segno e, quindi, ciò che determina il suo utilizzo è esclusivamente il significato immanente, mondano. Saussure ebbe invece riserve metafisiche riguardo al simbolo, definendo qualcosa che non è mai totalmente slegato da un significato universale o naturale. Il segno del linguaggio parlato e scritto è diverso, ha un altro carattere (e funzione) rispetto al simbolo, infatti, non è altro che una delle forme dell’elaborazione psichica comune e della vita sociale di tutti gli uomini di una determinata comunità. Ciò che bisognerà analizzare del segno linguistico sarà unicamente il suo legame a questa elaborazione psichica e a questa società, tralasciando aspetti trascendentali e naturalistici, men che meno universali, che sarebbero fuorvianti». (illimitatezza segnica)