JOBS ACT-Licenziamenti economici: tutele crescenti
Nove mesi dopo il via libera del Consiglio dei ministri, il Jobs act ha tagliato il traguardo dell’approvazione definitiva in Parlamento ed è entrato in vigore il 16 dicembre dopo la pubblicazione della legge 183/2014 in Gazzetta Ufficiale. E Nel Cdm del 24 dicembre 2014, l'esecutivo ha messo a punto le prime due bozze dei decreti delegati in materia di contratti a tutele crescenti per i lavoratori neoassunti dal 2015 con contratti a tempo indeterminato e la riforma dell'Aspi.
Provvedimenti che ora saranno trasmessi alle Commissioni di Camera e Senato per l'acquisizione dei pareri, poi torneranno a Palazzo Chigi che, salvo ulteriori modifiche e/o integrazioni saranno approvati e quindi pubblicati in Gazzetta Ufficiale.
Premessa
La legge Fornero, nel 2012, aveva modificato l'articolo 18 mantenendo il reintegro, nei licenziamenti economici, nel caso di manifesta insussistenza del fatto posto alla base dell'atto di recesso. Il governo, varando il Dlgs con la nuova normativa sul contratto a tutele crescenti, cancella anche questa previsione nei licenziamenti per motivi economici e organizzativi.
E quindi, se tali licenziamenti sono illegittimi, scompare per sempre la tutela reale, che lascia il posto a un ristoro economico, certo e crescente con l'anzianità di servizio del lavoratore.
La nuova normativa è piuttosto chiara.
Se non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (quindi le ragioni economiche) il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna l'imprenditore al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio fino a un massimo di 24 mensilità.
Questo significa che dopo il 12esimo anno di anzianità lavorativa al dipendente licenziato (illegittimamente) verrà corrisposto comunque un indennizzo massimo di 24 mensilità.
Nello specifico
Per ora, nel testo del primo decreto delegato, quello che cambia l'articolo 18, è previsto che le tutele crescenti per i licenziamenti economici illegittimi partiranno da 2 mensilità per anno di servizio con un tetto di 24 mensilita.
È prevista l'introduzione di un indennizzo minimo di 4 mensilità, da far scattare subito dopo il periodo di prova, con l'obiettivo di scoraggiare licenziamenti facili.
Visto che i contratti a tutele crescenti godranno dei benefici fiscali e contributivi contenuti nella legge di stabilità.
E' confermata la conciliazione veloce: qui il datore di lavoro puo' offrire una mensilità per anno di anzianita' fino a un massimo di 18 mensilita', con un minimo di due.
Per quanto riguarda i licenziamenti disciplinari la reintegra resterà per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato.
Profonda rivisitazione anche del capitolo dedicato all'Aspi.
Il nuovo ammortizzatore universale entrerà in vigore dal 1° maggio 2015 e sarà riconosciuto ai lavoratori che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione e che siano in stato di disoccupazione e che possano far valere, nei quattro anni precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione, almeno tredici settimane di contribuzione, nonchè possano far valere diciotto giornate di lavoro effettivo o equivalenti, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.
Il sussidio dovrebbe crescere con la durata del contratto (detto appunto a tutele crescenti) fino a 24 mesi, ovvero 6 in più rispetto ai 18 previsti a regime dall'Aspi Fornero.
Dopo l'Aspi ci sarà, per chi ha bassi redditi, l'assegno di disoccupazione che garantirà una tutela per altri 6 mesi.
Il sostegno economico sarà condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi per l’impiego contenente specifici impegni in termini di ricerca attiva di lavoro, disponibilità a partecipare ad iniziative di orientamento e formazione, accettazione di adeguate proposte di lavoro.
La partecipazione alle iniziative di attivazione proposte sarà obbligatoria, pena la perdita del beneficio.
In attesa dei provvedimenti attuativi di seguito approfondiamo le novità contenute nella legge delega di riforma del lavoro:
Articolo 18, ecco le nuove regole dal 2015
Il Governo ha reso disponibile la prima bozza del decreto legislativo (a seguito dell'approvazione del cd. Jobs Act) che riscrive le regole sulle tutele nei confronti dei licenziamenti illegittimi.
La principale novità su questo fronte è che per tutti i nuovi assunti dalla data di entrata in vigore del provvedimento con contratto a tempo indeterminato cadrà il totem simbolo dello Statuto dei lavoratori: sarà possibile licenziare anche per ingiustificato motivo economico o disciplinare pagando solo un indennizzo (e non dovendo piu' reintegrare in servizio il dipendente).
Vediamo dunque in breve cosa cambierà.
Le regole generali
In tutti i casi di licenziamenti illegittimi (sia per motivi economici che disciplinari, salvo quanto si dirà sotto) il lavoratore non potrà più ricorrere al giudice per chiedere il reintegro nel posto di lavoro, gli spetterà invece «un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio».
L'indennizzo sarà pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.
Si introduce, comunque, la conciliazione veloce: il datore potrà offrire al lavoratore, per evitare il giudizio, una mensilità per anno di anzianità fino a 18 mensilità, con un minimo di due. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporterà l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all'impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
I casi in cui resta la reintegra
La reintegra obbligatoria resterà esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento.
In tale situazione il giudice condannerà, inoltre, il datore al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro.
L'indennità non potrà superare, comunque, le 12 mensilità. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Attualmente, per effetto della Legge Fornero, la reintegra nei licenziamenti disciplinari scatta in due ipotesi:
se il fatto contestato non sussiste, oppure se rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa (cioè la sospensione del rapporto di lavoro invece del licenziamento) sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari.
Nel provvedimento non c'è la cosiddetta opzione spagnola (il cd. opting out): l’azienda, dunque, non potrà scegliere l’indennizzo anche se il giudice disponesse il reintegro.
Licenziamenti Discriminatori
Resta il reintegro, inoltre, nei licenziamenti nulli o discriminatori, cioè quelli motivati da ragioni politiche, religiose o di orientamento sessuale.
In queste circostanze scatterà il reintegro nel posto di lavoro piu' un risarcimento non inferiore a cinque mensilità. Si tratta di ipotesi piu' di scuola che di reale applicazione.
E' il caso, ad esempio, del datore che licenzia la madre durante il primo anno di vita del bambino o per motivi razziali, sessuali o legati al credo religioso.
Resta, inoltre, ferma la facoltà per il lavoratore di chiedere, oltre il diritto al risarcimento del danno, al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
L'ambito di applicazione
Le regole sopra esposte si applicano ai lavoratori impiegati nelle imprese con oltre 15 dipendenti con qualifica di operai, impiegati e quadri (non i dirigenti) assunti a tempo indeterminato a decorrere dall'entrata in vigore del decreto legislativo.
Per chi attualmente è già assunto a tempo indeterminato le regole restano, pertanto, quelle attualmente in vigore.
Per quanto riguarda le Pmi, cioè le imprese con meno di 16 dipendenti, il decreto prevede che le mensilità spettanti al lavoratore siano dimezzate e che ci sia un tetto massimo di 6 mensilità (contro le 24 previste di base).
Le nuove regole interesseranno anche i soggetti non imprenditori (cioè coloro che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto) e i licenziamenti collettivi.
Tabella di confronto Prima e dopo i nuovi decreti
GRANDI IMPRESE - PRIMA
Prima, con la riforma Fornero, ogni lavoratore dipendente di un’azienda con più di 15 persone (fresco o di grande anzianità) poteva essere licenziato per ragioni «economiche» in cambio di un indennità monetaria.
Ma: 1) si doveva passare per un giudice;
2) serviva molto più tempo;
3) l’azienda avrebbe speso di più (da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, più eventuali incentivi);
4) il giudice avrebbe potuto decidere di restituire il posto di lavoro al lavoratore licenziato, cioè la tutela dell’articolo 18.
Le statistiche dimostrano che col vecchio sistema comunque il 75% dei lavoratori licenziati se ne andava in cambio di soldi.
GRANDI IMPRESE - DOPO
Dopo la riforma, per chi ha già un contratto di lavoro attivo continuano a valere le regole della legge Fornero.
Chi verrà assunto con un contratto «a tutele crescenti», è invece facilmente licenziabile: basterà pagare un’indennità che varia da un minimo di 4 mensilità di stipendio, e sale di 2 mensilità per anno di servizio fino a un tetto di 24 mensilità.
Non si passa mai per il giudice, a meno che il lavoratore voglia cercare di dimostrare che si tratta di un licenziamento discriminatorio e nullo. La stessa disciplina riguarda anche i licenziamenti collettivi, quelli effettuati in caso di crisi aziendale.
LICENZIAMENTI DISCIPLINARI - PRIMA
Con la legge Fornero in alcuni casi erano i contratti collettivi, in altri un giudice, a stabilire che cosa accadeva a un lavoratore licenziato per ragioni disciplinari, se la sanzione del licenziamento era proporzionata alla colpa commessa o meno. In generale, il lavoratore poteva recuperare il posto se il fatto contestato non esiste oppure rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa.
In altri casi il lavoratore perdeva il posto, ricevendo però un’indennizzo dal datore di lavoro, variabile a seconda dei casi da un minimo di 6 a un massimo di 24 mensilità di stipendio.
LICENZIAMENTI DISCIPLINARI - DOPO
Adesso per tutti i lavoratori assunti dopo la riforma la reintegra nel posto di lavoro diventa molto più problematica.
Resterà infatti in vigore soltanto per i soli casi di insussistenza materiale del fatto contestato, a prescindere da quello che stabiliscono i contratti.
Parliamo di un numero estremamente ridotto di casi, dal punto di vista numerico. In tutte le altre situazioni il lavoratore sarà licenziato, e riceverà in cambio una indennità economica.
Tuttavia, in caso di licenziamento disciplinare in ogni caso sarà inevitabile un passaggio davanti alla magistratura, che dovrà stabilire chi ha ragione.
LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI - PRIMA
Se il licenziamento è riconosciuto come discriminatorio (legato a orientamenti sessuali, religione, opinioni politiche, attività sindacale, motivi razziali o linguistici, handicap, gravidanza, malattia, come stabiliscono leggi e Costituzione) il lavoratore oggi viene reintegrato dal giudice nel suo posto di lavoro. In più all’azienda si impone il pagamento dello stipendio maturato nel periodo di assenza obbligata per il lavoratore.
LICENZIAMENTI DISCRIMINATORI - DOPO
In questo caso non cambia nulla.
La riforma Renzi però stabilisce che dagli stipendi arretrati il datore di lavoro possa detrarre quanto incassato dal lavoratore licenziato grazie ad altri lavori. Si stabilisce che il risarcimento minimo è di cinque mensilità dello stipendio più contributi arretrati. Il lavoratore, se vuole, oltre al risarcimento potrà decidere di andarsene comunque dall’azienda, in cambio di un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto esente da contributi.
Nuova disciplina Aspi-
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http://www.governo.it/governoinforma/documenti/cdm_20141224/nuova_aspi_20141224.pdf
Decreto legislativo tutele crescenti
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http://www.governo.it/governoinforma/documenti/cdm_20141224/JobsAct_20141224.pdf