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La visionaria commedia in scena con Factory.

05/02/2015 9689 lettori
5 minuti

Mi era già capitato di leggere, tra le tante realizzazioni che fecero epoca, l’introduzione di una moderna messa in scena della commedia, eliminando il cast numeroso e la musica di Mendelssohn, sostituita dalla musica popolare; invece di sfarzosi apparati scenici collocò una semplice scenografia fatta di tele decorate a disegni; usò un'immagine delle fate del tutto originale, viste come creature dalla forma di insetti robot simili agli idoli cambogiani. Semplicità ed enfasi sull'estro della direzione artistica hanno continuato a prevalere anche nelle successive rappresentazioni teatrali.

Max Reinhardt mise in scena il Sogno di una notte di mezza estate per tredici volte introducendo una scenografia girevole. Inventò un adattamento scenico all'aperto, ancora più spettacolare, all'Hollywood Bowl. La copertura fu tolta e sostituita da una foresta piantata su tonnellate d’immondizia portata per l'occasione e fu costruita un'impalcatura che il corteo nuziale, sceso dalle colline al palcoscenico con le torce, attraversava nell'intervallo tra il quarto ed il quinto atto. Rooney (Puck) e De Havilland (Ermia) erano gli unici attori provenienti dal cast teatrale. È a Puck, infine, che Shakespeare assegna il compito di chiudere l'opera con la classica richiesta degli attori al loro pubblico: « Se noi ombre vi siamo dispiaciuti, immaginate come se veduti ci aveste in sogno, e come una visione di fantasia la nostra apparizione.»

Erano ormai anni che non mi recavo a teatro e si erano anche rarefatte le mie letture su testi classici limitati a utili contingenze o opportune necessità. Proprio ieri al teatro Kennedy di Fasano l’occasione mi trova spettatore attento di una rappresentazione «Sogno di una notte di mezza estate». Uno spettacolo con interpreti provenienti da diversi Paesi. Una cooperazione riallestita grazie al sostegno dato sia da Area dei Balcani, sia Teatri Abitati e di Terrammare Teatro. «Un gruppo di artigiani-attori prepara una recita per l’occasione, mentre Titania e Oberon, rispettivamente regina e re delle fate, presumibilmente protettori dei talami nuziali, sono in lite fra loro e assistono nel bosco, tra un dispetto e l’altro, all’incontro tra amanti incompresi, amanti in fuga, amanti non corrisposti».

Poeta è chi sa attingere ai sogni e diffondere sogni, questa pare essere l’idea base che sottende a tale copione - illusione, dimensione onirica e follia rappresentano, del resto, l’humus su cui s’innesta l’idea stessa di creazione (concetto già platonico e, di fatto, esplicitato chiaramente dall’autore per bocca di Teseo nella I scena dell’Atto quarto) - e davvero un gioco di chimere sembra essere questa commedia, magistrale esempio di dramma nel dramma. Fatto insolito (e straordinariamente moderno) è che delle varie situazioni presentate in quest’opera, quella più realistica e credibile (ed in effetti più “comica”) sia quella legata alla compagnia degli attori - per antonomasia figli di un mondo di finzioni.

Questo sogno è come un grande cartoon, dove gesti meccanici e burattineschi si ripetono di continuo lasciando che gli attori li facciano credere ogni volta unici. Nel delicato intreccio, sei personaggi rincorrono l'amore, lo confondono e giocano sotto un influsso magico, ma che cos'è l'amore se non un incantesimo capriccioso? E poi ci sono strane apparizioni, creature indefinibili, siparietti musicali ed improbabili attori alle prese con un'altra tragicomica commedia. Ce n'è abbastanza per far emergere tutta l'ambiguità del testo shakespeariano, l'amore si, quello giovane e spassionato, ma anche gli scherzi del destino e le allusioni ad una dimensione di violenza e prevaricazione nascosta dietro il rapporto amoroso.

La lingua shakespeariana è attraversata dalle molte lingue che compongono lo spettacolo che, senza mai far perdere il filo, giocano a restituire i differenti piani dell’azione: la spigolosità del serbo-croato per le schermaglie di Oberon e Titania, l’improbabile inglese usato ogni tanto come lingua comune e inflazionata, il continuo gioco di cambi e scambi degli amanti che sotto influsso magico perdono e scambiano anche la propria connotazione linguistica, la musica stessa e le canzoni si sostituiscono in più di una scena all’originale drammaturgia di Shakespeare. 

 

Fonti:

http://bit.ly/1C2F4e1  

http://bit.ly/1KugapL

Immagine: http://bit.ly/1udhxag

Salvatore Pipero
Salvatore Pipero

Un processo formativo non casuale, veniva accompagnato dalla strada, quasi unico indirizzo per quei tempi dell’immediato dopo guerra; era la strada adibita ai giochi, che diventava con il formarsi, anche contributo e stimolo alla crescita: “Farai strada nella vita”, era solito sentir dire ad ogni buona azione completata.  Era l’inizio degli anni cinquanta del ‘900, finita la terza media a tredici anni lasciavo la Sicilia per il “continente”: lascio la strada per l’”autostrada” percorrendola a tappe fino ai ventitre anni. Alterne venture mi portano al primo impiego in una Compagnie Italiane di Montaggi Industriali.



Autodidatta, in mancanza di studi regolari cerco di ampliare la cultura necessaria: “Farai strada nella vita” mi riecheggia alle orecchie, mentre alle buone azioni si aggiungono le “buone pratiche”.  Nello svolgimento della gestione di cantieri, prevalentemente con una delle più importanti Compagnie Italiane di Montaggi Industriali, ho potuto valutare accuratamente l’importanza di valorizzare ed organizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze, cioè il valore del capitale intellettuale dell’azienda.



Una conduzione con cura di tutte le fasi di pianificazione, controllo ed esecuzione in cantiere, richiede particolare importanza al rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla corretta esecuzione delle opere seguendo le normative del caso. L’opportunità di aver potuto operare per committenti prestigiosi a livello mondiale nel campo della siderurgia dell’energia e della petrolchimica ha consentito la sintesi del miglior sviluppo tecnico/operativo. Il sapere di “milioni di intelligenze umane” è sempre al lavoro, si smaterializza passando dal testo stampato alla rete, si amplifica per la sua caratteristica di editabilità, si distribuisce di computer in computer attraverso le fibre.



Trovo tutto sommato interessante ed in un certo qual modo distensivo adoprarmi e, per quanto possibile, essere tra coloro i quali mostrano ottimismo nel sostenere che impareremo a costruire una conoscenza nuova, non totalitaria, dove la libertà di navigazione, di scrittura, di lettura e di selezione dell’individuo o del piccolo gruppo sarà fondamenta della conoscenza, dove per creare un nostro punto di vista, un nostro sapere, avremo bisogno inevitabilmente della conoscenza dell’altro, dove il singolo sarà liberamente e consapevolmente parte di un tutto.