eMetrics Summit: macchine contro uomini? No, piuttosto ci serve cultura del dato
All'inizio di luglio sono stato ospite di eMetrics Summit 2015 nella sua tappa milanese, un evento che devo dire si è rivelato anche quest’anno ricco di suggestioni concrete e interessanti grazie all’alto livello degli speaker (un bravo a Paolo Zanzottera).
In data we trust
Ovviamente visto il tema dell’incontro era improbabile trovare qualcuno che non fosse consapevole dell’importanza del dato.
Siamo davanti a un fatto che difficilmente può essere negato: disponiamo di una mole di informazioni enorme e che apre scenari tanto entusiasmanti quanto a volte inquietanti in termini di privacy.
Indipendentemente dalla regolamentazione normativa sempre di piu le persone sono disposte “a pagare il prezzo della loro privacy“, ossia a cedere parti consistenti dei propri dati in cambio di personalizzazione e, attenzione, di informazioni rilevanti. Lo ha ricordato Jim Sterne durante il suo keynote, accompagnando l’affermazione con il video che trovate qui sopra.
Macchine contro uomini?
“I love being data informed but I hate being data driven” – Rand Fishkin, MOZ
Quando si parla di dati il pensiero corre veloce alla marketing automation e agli algoritmi che sono, ad esempio, alla base del programmatic buying.
Ma allora quale diventa il ruolo delle persone in tutto questo scenario di macchine e software? Direi che ancora ampio, e per almeno 3 ragioni:
1) Per misurare occorre dotarsi di una strategia e di obiettivi che i dati servono a verificare ma che non possono che nascere dall’intelligenza e dalla visione di un essere umano;
2) La creatività non viene uccisa dal dato, anzi grazie a un mondo cosi industrializzato di algoritmidiventa il fattore differenziante, purché l’intuizione non sia l’unico motore dello sviluppo;
3) Uno delle cose che vengono chieste a un data scientist è la capacita di scovare correlazioni nascoste. Le macchine possono evidenziare dei pattern ma dare loro significato è piuttosto diverso.
Perché diventerà un fatto di cultura
“Don’t worry, be relevant” – Kirk McDonald, President of PubMatic
Quella del dato è una cultura, la tecnologia oggi abilita in modo straordinario l’utilizzo di tutte leinformazioni generate dai mille dispositivi con cui interagiamo (e che interagiscono fra loro) ogni giorno ma se ne usa ancora una minima parte, e non solo per vincoli tecnici.
Anche nell’ultimo Osservatorio Big Data del Politecnico questo aspetto è emerso con forza, e tra le doti di chi oggi deve fare uso dei dati si deve citare la capacita di comunicare, fino a spingersi ad uno storytelling delle evidenze trovate, per riuscire a farsi ascoltare (cosa non da poco).
Più in generale poi si deve creare una cultura del dato diffusa, non solo negli enti di marketing, persfruttare al massimo tutto ciò che emerge dai dati e per abituare tutti a misurare, tracciare, verificare.
Per noi italiani non è ancora sempre assodato, in ballo pero c’è la differenza fra essere competitivi e non esserlo: la rilevanza per il cliente.