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I conflitti aziendali: minaccia o motore propulsore di crescita.

08/07/2004 01:00:00 25280 lettori
4 minuti


I conflitti sono insiti nell’esistenza nell’esistenza di una persona, ancor più nell’esistenza di un’organizzazione di lavoro. Un conflitto, per sua natura, non è tossico, è tossico lo stile inadeguato di approccio e di risoluzione . Un conflitto o una serie di conflitti mal affrontati  e gestiti ancora peggio, in azienda, possono asportare energia utile, rallentare, inibire, paralizzare parzialmente le attività, ridurre l’efficienza e l’efficacia, rendere disfunzionali le comunicazioni interne ed esterne, inibire la creatività, e l’intraprendenza, ridurre le attenzioni verso il cliente interno ed esterno, peggiorare il rapporto prezzo/qualità per incremento dei costi intangibili.Gli stessi conflitti aziendali, se ben approcciati e gestiti diventano motore propulsore di crescita, sviluppo del capitale umano, sviluppo di sicurezza psicologica, sviluppo di fiducia e di appartenenza a se stessi e all’organizzazione, sviluppo di performance e di creatività, riduzione dei costi invisibili, sviluppo globale dei flussi di valore aziendale.L’emissione di condotte umane adeguate di fronte ai conflitti non è, per natura un fatto spontaneo, ma è frutto di opportuna e mirata educazione, formazione e opera di sviluppo, basta pensare, nonostante le opere di civilizzazione e socializzazione che durano da tanti secoli sulla persona, quanta animalità essa conservi, per effetto di un ammodernamento, ancora incompleto, sulla parte del cervello antico della persona(rinoencefalo o sistema di Papez, o cervello emozionale, o cervello viscerale; sede delle emozioni).
Per conoscere a fondo il funzionamento di una persona o di un’organizzazione lavorativa, è di vitale importanza farne una misurazione in condizione conflittuale, quindi di stress. Un’azienda è composta da persone e in quanto tali, le loro menti sono assoggettate a posizionamenti lungo un continuum che va tra due poli estremi, quello della razionalità e quello della emozionalità, in funzione della loro struttura della personalità. In funzione del tipo di polarizzazione, in condizioni di omeostasi, si possono avere, in condizioni conflittuali e di stress, slittamenti verso il polo dell’emozionalità, in misura elevata, fino a cortocircuitare gli schemi logici e funzionali, tanto più qla mente o le menti interattive erano vicine al polo emozionale, in condizione di omeostasi, o se volete di pace.Credo che uno schema grafico può contribuire a donare maggiore chiarezza a questo fondamentale concetto espresso sopra.
 

Come si può arguire due persone di tipo “A” utilizzano la situazione conflittuale, con molte probabilità, in maniera distruttiva, fuorviando dagli elementi conflittuali e introducendo elementi verbali e comportamentali emozionali, tali da pregiudicare la risoluzione del conflitto, con la conseguenza di perdita di energia, probabile rottura della relazione, permanenza e aggravamento della situazione problematica, con possibili successivi comportamenti tendenti all’evitamento di situazioni ansiogene , con tendenze alla crescita della miopia di fronte a situazioni problematiche, con implicazioni di stallo delle situazioni.

Due persone di tipo “B” utilizzano la situazione conflittuale, con piccole e salutari dosi di stress, utilizzando la comunicazione depurata da aspetti emozionali(quest’ultimi negativi in condizione di conflitto e di stress), concentrando l’attenzione sugli elementi razionali implicanti il conflitto, così che si generano le condizioni di negoziazione, di sviluppo di pensieri creativi e risolutivi, di riflessione, ponderazione.Le implicazioni successive alla risoluzione di un conflitto sono: crescita di fiducia, di autostima, di performance, utilizzo di risorsa utile, crescita personale ed aziendale, soddisfazione generale, ricerca-disvelamento di un prossimo conflitto, anziché esitamento-occultamento.

Un’azienda con prevalenza di persone di tipo “A” o di tipo “B” ci portano a pensare a due diversi climi organizzativi, con le relative implicazioni riguardo allo stile di conduzione della risorsa umana, alla cultura d’impresa, al grado di competitività sul mercato, al grado di minaccia o di opportunità che può rappresentare un cambiamento esterno ed interno all’organizzazione lavorativa, al tipo di flessibilità, al capitale intellettivo aziendale.
Se l’intensità e la densità dei conflitti endogeni sono elevate(conflitti all’interno della persona, rappresentati da dire o non dire, fare o non fare, prendere o lasciare, vendere o comprare, ecc.), fanno crescere le possibilità di eccesso(in intensità e densità) di conflittualità esogena(tra se e gli altri), come dire, se una persona non è accordata dentro, fa crescere le possibilità dei disaccordi interattivi.

L’azienda vista con approccio sistemico, e non come insieme di elementi a se stanti e separati, è dotata di alta interattività tra componenti visibili e invisibili, per cui è sufficiente che una sola delle componenti, visibile o invisibile, presenti anomalia nel suo funzionamento che ne condiziona le altri componenti e l’intero sistema.Un problema o un conflitto aziendale non può, assolutamente, essere considerato avulso dall’implicazione di altri problemi o conflitti.

Le aziende che scarseggiano nell’adozione del management “preventivo”, abbondano nell’adozione del management “curativo”, trovandosi ogni giorno a spendere risorsa utile per la cura quotidiana dei foruncoli(costi), perdendo di vista la cura per regolarizzare le funzioni epatiche(investimenti).
I conflitti e i problemi aziendali che trovano adeguato approccio e stile risolutivo, rappresentano linfa vitale per la crescita delle persone , per le condotte evolutive e competitive di un’organizzazione.

I conflitti di un organizzazione possono essere di diversa natura e complessità, possono riguardare due o più persone per ragioni esclusivamente relazionali, per ragioni operative, per ragioni di carriera, possono esservi conflitti sull’area del decision making, del problem setting , del problem solving , possono esservi conflitti tra il mondo aziendale interno e l’esterno(fornitori, clienti, consulenti esterni, mercato).Essi possono variare nella valenza, nella natura, nei meri elementi conflittuali.Quando lo stile di approccio di fronte a un qualsiasi conflitto risulta senza la buona governabilità del timone delle della razionalità e della emozionalità, qualsiasi tipo di conflitto degenera verso maggiore complessità e verso l’infausto destino della irresoluzione e conseguente rimozione.Per sua natura il conflitto è generatore di ansia, la tolleranza e la gestione di quest’ultima le da connotati salubri, l’intolleranza e la cattiva gestione le conferiscono caratteristica insalubre e conseguente crescita, con il risultato quasi certo della degenerazione della comunicazione , del cortocircuito relazionale e del fallimento nella risoluzione del conflitto.Le emozioni adeguate ed opportunamente espresse e contestualizzate, rappresentano una delle più grandi ricchezze umane, ma una prima regola da tener presente, nella situazione conflittuale, è quella di tenere assolutamente a freno le condotte emozionali, che possono essere espresse in maniera verbale, ma soprattutto in maniera non verbale.Non una parola, perché è già troppa, ma un solo tono, un solo sguardo, un solo gesto, dieci centimetri in meno tra due interlocutori, possono creare o distruggere un rapporto, possono essere risolutori o esacerbatori di un conflitto.Il conflitto, per avere buon fine, ha la caratteristica di dover essere risolto nel più breve tempo possibile, dico risolto, non rabberciato, quindi irrisolto, perché più un conflitto si prolunga nel tempo, più crescono le possibilità di approcci emozionali ed irrazionali, per la caratteristica che il conflitto ha di accrescere l’ansia al dilungarsi del tempo di risoluzione.Altro connotato negativo di un conflitto che si prolunga nel tempo è quello dell’insidia data dall’intromissione di un “consigliere inopportuno”, altrimenti definito “suocera-pediatra”, abile a carpire una situazione di debolezza, per assurgersi a risolutore, ma in realtà abile nel complicare una situazione conflittuale già complicata. Per definizione semplice di conflitto si intende la presenza di due istanze in opposizione tra loro, con impossibilità di coesistenza, pertanto, se non è facile creare accordi, forme di negoziazioni, risoluzione per due istanze che configgono, diventa complesso e difficile trovare soluzioni per un conflitto che verte su tre o più istanze in opposizione, ossia quando arriva il “consigliere inopportuno” o “suocera-pediatra”(la suocera, quando diventa nonna si “specializza” in pediatria, complicando i conflitti educativi e di natura pediatrica che la giovane coppia vive, per inesperienza, per ansia e per i diversi valori e credenze che si portano dalle loro rispettive famiglie-una nota goliardica).Alcune regole utili per affrontare situazioni conflittuali: Tenere polarizzata, per quello chè è possibile, la propria mente sul polo della razionalità, usare le regole della comunicazione negoziale, se si conoscono, altrimenti è meglio conoscerle, acuire la percezione oltre il campo strettamente percettivo, usando alcune dosi di immaginazione, ascoltare in maniera empatica l’interlocutore, quindi saper raccogliere i feed back, soprattutto di tipo non verbale(fonte di non mistificazioni), saper prevedere le conseguenze dei propri comportamenti, controllare le parole usate, controllare i segnali non verbali, evitare lo stile prolisso, le interruzioni, le divagazioni, il novero delle storie dei nonni o di passate situazioni, evitare la parola in più o in meno, ma soprattutto tenere a freno emozionalità, ironia, sarcasmo, aggressività, anche larvata, e mettere in atto tanta arguzia, capacità di analisi e di valutazione ed una buona dose di creatività e di espansione umana.Ma regola principe, tra quelle prima annoverate è che il conflitto non deve assolutamente affrontare elementi fuorvianti il conflitto stesso, la comunicazione deve riguardare solo gli elementi strettamente appartenenti al conflitto(elementi razionali). Una difesa inadeguata di fronte ad un conflitto non risolto, a parte l’aggressività aperta o mascherata, è la rimozione, rimuovere dal piano della coscienza un conflitto non rappresenta nessuna forma di soluzione utile, né fa perdere energia allo stesso, tutt’altro, non è poi tanto dannoso un solo conflitto rimosso, quanto lo stile tendende alla rimozione dei conflitti. Sulla persona molti conflitti rimossi generano disturbi comportamentali e/o disturbi psicosomatici,con perdita di efficienza e di efficacia, sull’organizzazione lavorativa generano crisi, interruzione di programmi, demotivazione, scontentezze, tensioni, ulteriori conflitti, perdita di rendimenti, perdita di potenzialità, perdita di surezza, perdita di creatività, perdita di flessibilità, difficoltà di adattamento ai veloci cambiamenti del macro sistema, perdita di competitività. 

Paolo La Cagnina
Paolo La Cagnina

La Cagnina dr.Paolo risiede a Lecce, dottore in psicologia, consulente, formatore e project manager per conto di prestigiose aziende che si occupano di sviluppo della risorsa umana e di sviluppo della cultura manageriale.Autore di 20 seminari relativi allo sviluppo del potenziale umano, della leadership, del global marketing.Autore di progetti formativi per la crescita globale delle organizzazioni lavorative.
e-mail:lacagninadrpaolo