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Come possiamo attrarre talenti, se trattiamo le persone come ingranaggi?

06/11/2024 236 lettori
3 minuti

 

"L'istruzione è l'arma più potente che puoi usare per cambiare il mondo." – Nelson Mandela
Stiamo davvero usando quest'arma nel modo giusto?

Oggi, l’educazione è a un bivio: vogliamo formare ingranaggi perfetti per il mercato del lavoro o vogliamo creare individui capaci di pensare in modo autonomo e innovativo? Questa scelta non è una questione di sfumature, ma una vera e propria decisione di fondo che influenzerà il nostro futuro. Se optiamo per il primo percorso, potremmo garantirci un sistema efficiente ma privo di umanità. Se scegliamo il secondo, potremmo invece mettere le basi per una società più creativa e resiliente, in cui ogni individuo contribuisce con il proprio pensiero critico e il proprio potenziale.

Come diceva Albert Einstein, "è un miracolo che la curiosità sopravviva all'educazione formale." In effetti, troppe scuole e aziende oggi si accontentano di un conformismo robotico che uccide il valore umano. È un sistema che non solo mortifica la creatività, ma soffoca l’innovazione, rendendo le persone facilmente sostituibili. Il paradosso è evidente: formiamo individui brillanti e creativi, per poi chiedere loro di adattarsi a un meccanismo che esige conformità e docilità. Che senso ha tutto questo?

Il ruolo delle aziende e delle famiglie

Lo stesso paradosso si ripresenta nelle aziende. La logica prevalente è “faccio X, ottengo Y”: un paradigma in cui l’efficienza prende il sopravvento, lasciando pochissimo spazio al pensiero divergente. Questa mentalità tende ad alimentare la macchina e a soffocare il potenziale umano. Come afferma il filosofo Jürgen Habermas, siamo ormai sull’orlo di diventare schiavi della tecnica, in una società governata da sistemi che ci riducono a meri ingranaggi.

E le famiglie? Anche loro, spesso, sembrano orientate verso un’educazione “funzionale”, che punti a preparare i ragazzi per il mercato del lavoro e poco più. Si tende a chiedere scuole che producano giovani “impiegabili”, sacrificando lo sviluppo della creatività e del pensiero critico. Questa preparazione pragmatica e superficiale è l’emblema di una formazione appiattita, in cui l’individuo è visto come una risorsa da mettere a frutto, piuttosto che come una mente da coltivare.

Sistema e mondo della vita: il pensiero di Habermas

E qui torniamo a Habermas e alla sua critica della modernità, che vede la nostra società schiacciata tra due forze: il sistema e il mondo della vita. Da una parte c’è il sistema, il regno della razionalità strumentale, dove dominano efficienza, produttività e profitto, e in cui le persone sono ridotte a “risorse umane”, funzionali ma spersonalizzate. Dall’altra parte c’è il mondo della vita, il regno delle relazioni autentiche, della comunicazione e della crescita personale, dove ogni individuo è molto più di un semplice mezzo per un fine economico.

Habermas ci mette in guardia: il rischio è che il sistema colonizzi il mondo della vita, svuotando di senso l’educazione e il lavoro. Quando le scuole si limitano a preparare gli studenti a “sopravvivere” nel mercato e le aziende vedono i dipendenti come risorse intercambiabili, permettiamo a questa logica di soffocare la creatività e l’umanità stessa. Il risultato? Formiamo persone perfette per eseguire ordini, ma incapaci di immaginare o costruire un mondo diverso. Se vogliamo invertire questa rotta, dobbiamo fare spazio al pensiero critico, all'empatia e alla vera comunicazione.

Il cambiamento di mentalità nel mondo del lavoro

Questa riflessione ci porta a una domanda fondamentale per le aziende: perché oggi è così difficile trovare nuovi talenti? Nonostante la presenza di team dedicati alla talent acquisition e l’uso di tecnologie avanzate per il recruiting, molte aziende faticano ad attrarre e trattenere persone capaci. Certo, c’è una disoccupazione strutturale, ma esiste anche un’altra causa meno discussa: la disconnessione tra le aspettative dei lavoratori e il tipo di impiego che viene loro offerto.

Il mondo è cambiato. Sempre più persone non vogliono essere ridotte a “risorse umane” – un termine che ormai evoca l’immagine di un ingranaggio impersonale in un grande sistema. Le nuove generazioni, in particolare, cercano lavori che rispettino il loro spazio come individui e che valorizzino la loro unicità, non solo come lavoratori, ma come esseri umani. Non sono disposte a sacrificare creatività, autonomia e crescita personale in nome della pura produttività.

Questo cambiamento di mentalità è un segnale chiaro alle imprese. Se vogliono attrarre e mantenere i migliori talenti, devono ripensare i loro modelli organizzativi e culturali. Non si tratta solo di offrire salari competitivi o benefit accattivanti; le persone vogliono sentirsi parte di una realtà che le riconosca, le ascolti, e permetta loro di esprimere il proprio potenziale autentico. Forse, il vero vantaggio competitivo oggi non sta solo nella tecnologia, ma nella capacità di creare spazi di lavoro che mettano davvero l’uomo al centro.

Conclusione: verso un nuovo paradigma

La strada che abbiamo intrapreso è pericolosa: stiamo coltivando individui facilmente sostituibili dalle macchine, dimenticando ciò che solo l’essere umano può offrire – creatività, innovazione, empatia. Come ci ricorda Martin Luther King Jr., "La vera misura di un uomo non si vede nei momenti di comodità e convenienza, ma in quelli di sfida e controversia." Se non riportiamo l’essere umano al centro, rischiamo di compromettere non solo il futuro delle nuove generazioni, ma anche la competitività e la resilienza dell’intero paese.

E voi, cosa ne pensate? Anche voi percepite questo appiattimento nella scuola e nel lavoro? Come possiamo restituire valore umano al nostro sistema educativo e lavorativo?

Luca Oliverio
Luca Oliverio

Luca Oliverio è il founder e editor in chief di comunitazione.it, community online nata nel 2002 con l'obiettivo di condividere il sapere e la conoscenza sui temi della strategia di marketing e di comunicazione.

Partner e Head of digital della Cernuto Pizzigoni & Partner.

Studia l'evoluzione sociale dei media e l'evoluzione mediale della società.