(la prima parte)
(la seconda parte)
(la terza parte)
(la quarta parte)
La maggior parte degli imprenditori optarono per l’evasione fiscale.
Il grido di dolore si era allargato:”Lavoriamo per le banche e per le tasse”.
Del resto gli accertamenti seri e profondi avvenivano su una impresa su 100;per cui 99 imprese su 100 la facevano franca.Ciò considerato l’evasione fiscale si diffuse anche nelle imprese che avevano buoni risultati economici.
Ed in caso di accertamento .....diciamo che spesso i Marescialli della Guardia di Finanza erano “buoni”.Ed i commercialisti che ben conoscevano i marescialli “buoni di cuore” erano ben pagati.
In sintesi il problema del finanziamento dello sviluppo italiano verso imprese scarsamente redditizie ricadde tutto sulle banche;e più precisamente sugli affidamenti bancari che – a differenza di altri paesi in cui se entro 90 giorni non ricopri l’affidamento esso non ti viene rinnovato – in Italia gli affidamenti divennero continui e definitivi senza alcun rientro da parte dell’impresa. Richiederne il rientro da parte delle banche significava far chiudere immediatamente l’azienda.
In questo contesto nasce in Italia la “Banca Padrona”,sia nel senso letterale che in quello economico.Infatti la banca diventa – di fatto – un socio di maggioranza che comunque riscuote utili –molro,ma molto alti,anche se l’azienda è in perdita.Così come ha il potere di far sopravvivere o meno un’impresa.
Si crea dunque in Italia una fattispecie storica ancora operante:la banca è la “parte forte” ;l’imprenditore (costretto pena la chiusura della sua azienda ad accettare ogni condizione bancaria) è la “parte debole” che opera in continuo regime di vessazione.
Dire,nel caso di imprese, che tra banca e correntista esiste un rapporto contrattuale,firmato dalle due parti quanto si voglia,è come dire che esiste un rapporto contrattuale tra chi è capace di ipnotizzare e chi è ipnotizzato.Ogni volta che un correntista si reca alla banca è sempre un pellegrinaggio.
Naturalmente esistono le eccezioni;ma esse solo confermano la regola.
Ma è interessante sapere e capire quanto siano stati importanti per il sistema imprenditoriale italiano i primi anni del 1970.Periodo in cui per il sistema industriale italiano – arrivato ad un punto fermo (come non poteva non accadere) - il “giro” degli anni 60 cominciò a diventare sempre più difficile.
Vero è che anche la decisione del Presidente Nixon ,il 15 agosto del 1971, di sospendere la convertibilità in oro del dollaro provocò non poca confusione,venendo a mancare un sicuro punto di riferimento – anche per le banche - nel Sistema Monetario Internazionale.
Nel 1973 uscì una importante ricerca della Fondazione Agnelli sul Sistema Imprenditoriale Italiano.Che dette luogo a molti ripensamenti e riflessioni.
A pag.12 si leggeva che nel complesso del sistema era diminuito il numero delle imprese aventi fino a 100 addetti;era aumentato il numero delle imprese fino a 250 addetti ; era diminuito il numero delle imprese tra 250 e 1000 addetti ;ed era aumentato il numero delle imprese con oltre 1000 addetti.
Quindi molte piccole aziende erano cresciute;ma il dato preoccupante era la diminuzione delle imprese aventi tra i 250 e 100 addetti che avrebbe docìvuto rappresentare il perno di un sistema industriale solido.
Inoltre con riferimento alle grandi aziende di gruppi di vertice italiani di maggiore importanza ne venivano elencati tre a prevalente vocazione finanziaria (cioè le banche).Ed a pag.59 si rilevava che i programmi imprenditoriali sin qui portati avanti obbedivano a ragioni puramente finanziario-speculative,senza una seria prospettiva di operazioni di riorganizzazioni industriale.
Cioè il motore trainante dell’economia italiana – visti i risultati economici –erano le banche.Ma se per motore trainante devesi invece intendersi l’industria,era più che chiaro che le banche sacrificavano l’industria e ne impedivano la crescita ;presentando però utili elevatissimi,mentre (pag.82) si dichiarava evidente il crescente indebitamento delle imprese industriali italiane.
Questa ricerca venne pubblicata in un periodo di appassionato contrasto tra economisti che sostenevano ancora che il dorso portante del sistema italiano erano le piccole imprese:Mentre altri sostenevano che le piccole imprese –sottocapitalizzate – non potevano certo espandersi utilizzando ancora affidamenti bancari più elevati per spese di ricerca,rinnovamento ,marketing,ecc.E così loro mercati avrebbero potuto nel tempo essere facile preda non tanto delle più grandi imprese italiane (che non erano poi così tante ed economicamente e finanziariamente a posto ),ma piuttosto delle potenti multinazionali straniere.
Il dibattito tra economisti fu molto acceso,data l’importanza capitale della questione.
Tra i sostenitori della seconda ipotesi possiamo ricordare Paolo Sylos Labini,Sergio Ricossa,Francesco Forte,Nicola Cacace,altri meno famosi come lo scrivente;ma in particolare Federico Caffè il quale all’epoca scrisse [Un‘Economia in Ritardo-Boringhieri 1976-pag 88] “ Debbo ora aggiungere che non ritengo di poter condividere i giudizi largamente positivi,e spesso apologetici,ai quali è d’uso far ricorso allorchè ci si riferisce alle medie e piccole imprese,come componenti della struttura industriale,di cui si sottolinea la vitalità e la dinaminicità”[ndr soprattutto nel cercare affidamenti bancari sempre più elevati] .