La Mano di Fatima: Ildefonso Falcones romanziere da Hollywood!
Preparatevi ad assaporare il retrogusto di una epopea abilmente ricostruita nello spaccato storico di una terra iberica immersa nei travagli religiosi di un conflitto storico dove le leggi morali del XVI° secolo attingono da quella sacralità spaccata in due da una Fede che non tollera contaminazioni spirituali, in quel bivio etico e umano che separa la fede ebraica da quella cristiana, nel paradossale genocidio che ripiega la riluttante xenofobia che ha marchiato di atroci delitti l’intera umanità. Il risultato diventa quel meritevole tributo dispensato dallo scrittore nel riportare una cronaca fatta di accadimenti, con l’abilità narrativa capace di condire di fantasia una storia fatta di personaggi e di passioni, in quella fitta rete di rimandi storici e di sottili equilibri precari sostenuti dalla credibilità data da un ritmo che vuole rimanere sempre romanzo. Ildefonso Falcones c’è riuscito, regalando una storia minuziosamente impreziosita dalla cronaca che avvalora lo spessore umano di un soggetto che sembra amalgamare perfettamente ogni particolare con la sobrietà tipica della novella scritta. Ecco, quindi, che prendono forma i protagonisti di questa storia, dal giovane Hernando, il figlio di quello stupro subito da una madre moresca per atto di un prete cristiano, che condensa la brutalità di una società del periodo dove la nobiltà e la povertà sono il risultato di quel diritto omerato dall’ignoranza, dove la violenza si rimette nelle mani di un credo religioso che sembra dover sempre fare i conti con la precarietà dettata dall’uomo. L’Amore si racconta nell’incedere della vita del ragazzo, nello stesso nome portato dalla prima donna della sua vita, spiritualmente unita nello stesso amuleto consacrato dalla fede moresca, in quella “Mano di Fatima” che racchiude i cinque pilastri della fede: la dichiarazione di fede (shabada), la preghiera cinque volte al giorno (salat), l’elemosina religiosa (zakat), il digiuno (ramadan) e il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita (hajj). Una diversità che sembra dover sottostare al destino voluto dalla nascita, ma che diventa riscatto nella caparbia rivendicazione di una autenticità che diventa affermazione, mentre l’incedere degli anni conducono le sorti di quella spiritualità carnale nei volti di altre giovani donne che devono ricongiungere Hernando alla propria umanità, nelle grazie di Isabella, nobile cristiana che si concede al rispetto acquisito dal giovane nel ruolo sociale di traduttore dei Testi Sacri, e l’ultimo amore nelle devote origini elargito da Raffaela, che sarà moglie e madre di un uomo che saprà riemergere da quella sorte toccata dalla condanna all’esilio voluto dai Re di Spagna cattolici. Un romanzo ben scritto e cadenzato da quell’astuta voglia di “sceneggiare” una storia che si presta all’immaginario cinematografico, dove l’attuale Prince of Persia sembra voler confermare che il dramma ripartito tra Azione, Storia e Sentimento non conosce sconfitte o inflessioni... proprio come quel messaggio universale che oggi ha saputo far riscuotere quel pegno da una inquisizione debellata dalla coscienza morale di una società che ha saputo costruire una nuova pagina di storia dai propri sbagli. Un merito che lo stesso scrittore ha saputo elargire, legando il passato storico del suo Paese con quel genocidio ai danni di un popolo ebraico che sarà per sempre l’emblema di quella rinascita dettata dal riconoscere un’unificazione etica e religiosa senza discriminazioni di razza.