LAVORO – Confindustria: le tre cause che allungano i tempi
A un anno e mezzo dalla fine della recessione, è ancora lento da riassorbire l’aumento della disoccupazione: infatti, se il tasso di disoccupazione rivela l’aspetto più grave dell’impatto della crisi economica sul mercato del lavoro, ve ne sono altri importanti per valutare il grado complessivo di sotto-utilizzo del capitale umano e che allungano i tempi del rientro della disoccupazione stessa. In particolare tre: l’aumento dei disoccupati di lunga durata, la riduzione delle ore lavorate e lo scoraggiamento nella ricerca di un impiego. Lo ha evidenziato il Centro studi di Confindustria nel consueto rapporto di previsione di dicembre sottolineando che In Italia il tasso di disoccupazione è rimasto al di sotto del 7% fino alla fine del 2008 e ha raggiunto l’8,5% nella prima metà del 2010 (8,6% a ottobre).
Come mai la disoccupazione fatica a scendere? Per capirlo occorre guardare oltre la disoccupazione stessa. Il tasso di disoccupazione, infatti, per definizione e per costruzione non può descrivere appieno il peggioramento del mercato del lavoro. Esso è la percentuale di persone disoccupate sul totale della forza lavoro, a sua volta definita come la somma delle persone occupate e di quelle disoccupate. Tre misure addizionali contribuiscono a fornire una visione più completa dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro. In primo luogo, i disoccupati di lunga durata, ovvero le persone alla ricerca di lavoro da almeno dodici mesi. Questo gruppo è composto dalle persone per le quali il re-inserimento nel lavoro è più difficile. In secondo luogo, due misure di sotto-utilizzo del capitale umano, costituite dai marginally attached alla forza lavoro, ovvero coloro che sarebbero immediatamente disponibili a lavorare pur non essendo alla ricerca attiva di un lavoro, e dai sotto-occupati, cioè i lavoratori con un contratto a tempo pieno che hanno lavorato per un numero ridotto di ore e i lavoratori a tempo parziale che preferirebbero un lavoro a tempo pieno ma non riescono a trovarlo. Al di fuori di queste categorie, l’individuo la persona è classificata come inattiva, quindi al di fuori delle forze lavoro.
Un elevato stock di disoccupati di lunga durata rallenta così il riassorbimento della disoccupazione durante la ripresa e aumenta il rischio che parte della disoccupazione ciclica si trasformi in strutturale. Tanto più che, con il crescere della durata della disoccupazione, al depauperamento delcapitale umano si aggiunge la tendenza a diminuire l’intensità e la quantità delle azioni di ricerca. Questo fenomeno di scoraggiamento si verifica appunto in periodi in cui le probabilità di trovare lavoro appaiono basse. Cosicché all’impatto della crisi misurato dall’aumento della disoccupazione va sommato lo scoraggiamento che causa la contrazione della forza lavoro, con effetti di dilatazione dei tempi di riduzione della disoccupazione stessa durante la ripresa. Proprio perché, al radicarsi ed estendersi di quest’ultima, gli individui che avevano abbandonato la ricerca di lavoro la riprendono, andando almeno temporaneamente a ingrossare le fila dei disoccupati. Anche la ciclicità della partecipazione al mercato del lavoro implica quindi che il tasso di disoccupazione rimarrà alto a lungo.
In Italia, hanno poi ricordato gli analisti di Confindustria, è stato massiccio il ricorso alla cassa integrazione guadagni (cig) che, dopo un picco di 480mila unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (secondo trimestre del 2010), è stimata assorbire a novembre 2010 circa 340mila unità, cosicché la forbice tra occupazione e monte ore rimane ancora ampia, suggerendo che nei prossimi trimestri l’allungamento degli orari e il processo di reintegro dei cassintegrati rallenterà la crescita dell’occupazione.