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DiCinema: la nuova Hollywood

12/05/2014 11840 lettori
5 minuti

Quando essere protagoniste diventa come svestire il femminismo dall’emancipazione femminile,  la comparsa dall’attrice, la precarietà dalla conferma.  Quando essere un nome nel palinsesto della macchina promozionale del cinema significa essere necessariamente artisti, nel nome del dramma e della commedia. Julianne Moore (3 dicembre 1960), emergente dalla gavetta off-Broadway con un passato da cameriera, nel nome di quel Mattatoio 5 che l’ha vista debuttare nel cinema (Slaughterhouse II, 1988), per proseguire con quella miscela di psico-thriller che non l’ha mai abbandonata, passando da La Mano sulla culla (dramma hitchcockiano raffinato, diretto da Curtis Hanson) alla commedia giovanile sui generis, vedi il delizioso Benny e Joon di Jeremiah S. Chechik (rilettura del celbre Psycho, riproposto  anche da Gus Van Sant), che l’ha vista “decollare”, rotta  planet Hollywood. Andrew Davis l’ ha voluta nel remake celebrativo della serie televisiva cult Il Fuggitivo, con un Harrison Ford placcato da un cocciuto Tommy Lee Jones, per partecipare al corale summit a episodi di Altman, America oggi, “segnalibro” di una decade che stava tracciando il nuovo linguaggio cinematografico, facendo emergere quella gradevole parentesi rosa nella riuscita commedia firmata Chris Columbus, Nine months – Imprevisti d’amore, partner d’eccezione Hugh Grant. James Ivory ha sezionato l’egocentrismo dell’artista nel simbolismo crittografato dal valore umano assoluto, nel biopic Surviving Picasso, con Anthony Hopkins nel ruolo del celebre pittore, per mettere il proprio nome anche nella potente trilogia iniziata da Spielberg, nel secondo episodio di Jurassic Park. Passaggi nella commedia d’autore firmata dai fratelli Coen nel Il Grande Lebowski, per sfiorare il genere, nello stesso dissacratorio prequel voluto da Ridley Scott, Hannibal (sviante riedizione delle origini del personaggio portato alla ribalta da J. Demme), per assestare la propria valenza d’attrice drammatica nei sapori intellettuali devoluti nei meriti di Wilde per la trasposizione cinematografica del classico diretto da Oliver Parker, Un Marito ideale (sempre del regista la recente edizione di Dorian Gray), per definire il pragmatismo espresso da Stephen Daldry con The Hours, con Nicole Kidman nel ruolo che l’è valso l’Oscar per Virginia Woolf. Ruoli che l’hanno identificata nel cinema riproposto da  A Single Man, nel dosato Colin Firth plasmato da Tom Ford, per annaffiare la sempreverde commedia nel Crazy, Stupid, Love, corale richiamo di facile presa, nella coppia di registi Glenn Ficarra e John Reqa e il recente The English Teacher di Craig Zisk.       

Paolo Arfelli
Paolo Arfelli

Nato a Ravenna; ho avuto il piacere di aver frequentato un corso di grafica pubblicitaria tenuto da Umberto Giovannini, presso la T. Minardi di Faenza, dopo il quale intendo affrontare un discorso editoriale che possa completare il cammino professionale che voglio realizzare.

E' da qualche anno che ho il piacere di legare la mia capacità a Comunitàzione, in una collaborazione di testi e argomenti che valorizzano la serietà riposta da Luca Oliverio e il contesto in cui questo portale opera, tra pubblicità, marketing, informazione e tanto altro.

Ho in preparazione alcuni cortometraggi e la realizzazione di un magazine (DC DIRECTOR'S CUT) all'interno di Alphabet&Type®.