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Il tempo storico autonomo nel tempo ciclico.

09/09/2008 26471 lettori
5 minuti

Nel testo “Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizione” Mircea Eliade sostiene che la ripetizione, la ciclicità dell’esperienza temporalizzata, è lo statuto fondamentale del tempo propriamente umano.

Eliade mette al centro del suo studio le società tradizionali, intendendo per tradizionali le società premoderne che comprendono sia il mondo che viene definito primitivo sia le antiche culture dell’Asia e dell’America, poiché l’uomo arcaico «non conosce atto che non sia stato posto e vissuto anteriormente da un altro, da un altro che non era uomo. Ciò che egli fa, è già stato fatto; la sua vita è una ripetizione ininterrotta di gesti inaugurati da altri» (Eliade, p. 14).

Prima di agire cioè, l’uomo primitivo ritorna verso un archetipo, un modello, un prototipo che funge da soluzione contro il problema del divenire del presente da cui si protegge. Proprio perché le società tradizionali non percepiscono il tempo storico come lineare e irreversibile, si proteggono dall’idea di una “storia autonoma” o “tempo profano”, cioè dall’idea di una storia che non è regolata come imitazione di modelli.

 

«un fatto ci ha soprattutto stupito nello studiare le società tradizionali: la loro rivolta contro il tempo concreto, storico […] il senso e la funzione di quelli che abbiamo chiamato “archetipi e ripetizione” si sono rivelati a noi solamente quando abbiamo colto la volontà di quelle società di rifiutare il tempo concreto, la loro ostilità a ogni tentativo di “storia” autonoma, cioè di storia senza regolazione archetipica» (ivi, p. 9).

 

 

In questo tipo di società, inoltre, si attribuisce valore di realtà proprio e soltanto a ciò che è una imitazione: «il gesto acquista senso, realtà, solamente nella misura esclusiva in cui riprende un’azione primordiale» (ivi, p. 15); tutto ciò che non è imitazione ripetizione, non è reale. Bisogna tenere presente che questa identificazione della realtà con la ripetizione, porta a due conseguenze:

  • la realtà che conta è sempre impersonale o spersonalizzata: non è riferibile ad un io, ma al pronome indefinito si.

 

«La realtà si acquista esclusivamente in virtù di ripetizione o di partecipazione; tutto quello che non ha un modello esemplare è “privo di senso”, cioè manca di realtà. Gli uomini avrebbero quindi la tendenza a divenire archetipici e paradigmatici. Questa tendenza può sembrare paradossale, nel senso che l’uomo delle culture tradizionali […] si riconosce come reale, cioè come “veramente se stesso”, soltanto nella misura in cui cessa proprio di esserlo» (ivi, p. 42);

 

 

  • la ripetizione abolisce il tempo: colui che ripete l’archetipo non ritiene di imitare in un certo momento ulteriore, storico, profano, qualcosa che avvenne allora, in illo tempore; la ripetizione è una identificazione piena e completa con il momento originario.

 

«Nella misura in cui un atto (o un oggetto) acquista una determinata realtà per mezzo della ripetizione di gesti paradigmatici e solamente per questo, vi è l’abolizione implicita del tempo profano, della durata, della “storia” e colui che riproduce il gesto esemplare si trova così trasportato nell’epoca mitica, in cui avvenne la rivelazione di quel gesto esemplare» (ivi, p. 43).

 

 

Una cosa importante da sottolineare è che con l’illud tempus, “quel tempo”, non ci si riferisce ad un tempo a tutti gli effetti, bensì ad un tempo speciale la cui specialità è indicata proprio dall’ illud. Questo è un tempo che non è veramente tempo, l’inizio della temporalità storica, l’inizio del divenire non rientra esso stesso nel divenire. Si tratta della condizione di possibilità del divenire e quindi dell’esordio della storia, inquadrato come tempo primordiale, originario, in cui è accaduto tutto ciò che oggi non si inizia, ma si ripete.

Ora, poniamoci una domanda: in quali circostanze l’uomo tradizionale ripete l’archetipo?

La proiezione dell’uomo primitivo nel tempo mitico e, quindi, l’abolizione implicita della storia autonoma, spiega Elide, avviene soprattutto per necessità.

È una necessità presente durante atti collettivi quali la caccia, la pesca, il lavoro o la guerra; ma è soprattutto una necessità che deriva dall’incapacità di sopportare il peso del ricordo degli avvenimenti personali, storici, profani come ad esempio i peccati.

Necessità soddisfatta da un tipo di ripetizione che vede il compiersi dei rituali in modo periodico.

 

«Il bisogno che anche queste società sentono di una rigenerazione periodica è una prova che esse non possono mantenersi senza interruzione di quello che abbiamo chiamato “paradiso degli archetipi”, e che la loro memoria giunge a scoprire […] l’irreversibilità degli avvenimenti, cioè a registrare la “storia”» (ivi, p. 79).

 

 

Dunque un altro modo di ricostruire la ciclicità del tempo, che è molto vicino al concetto di abolizione del tempo perchè si subisce la durata ma la si fa diventare retrattile, è pensare che il tempo si rigeneri periodicamente, che periodicamente ricominci daccapo.

 

«i riti di rigenerazione racchiudono sempre, nella loro struttura e nel loro significato, un elemento di rigenerazione per mezzo della ripetizione di un atto archetipico, il più delle volte l’atto cosmogonico. Ciò che ferma la nostra attenzione principalmente in questi sistemi arcaici è l’abolizione del tempo concreto e quindi il loro intento antistorico […] In ultima analisi, cogliamo in tutti questi riti e in tutti questi atteggiamenti la volontà di svalorizzazione del tempo. Se non gli si accorda nessuna attenzione, il tempo non esiste, anzi, là dove diventa percettibile […] il tempo può essere annullato» (ivi, p. 88).

 

 

Nel secondo capitolo Eliade fornisce numerosissimi esempi di cerimonie periodiche, che raggrupperà in due filoni generali:

  • cacciata annuale dei demoni, delle malattie e dei peccati;

  • rituali dei giorni che precedono e seguono l’anno nuovo.

Il rito che ho scelto rientra nel primo filone ed è riportato nel terzo e ultimo paragrafo che spiega la rigenerazione continua del tempo. Ho deciso di trattare il simbolismo della mistica lunare perchè, secondo me, è emblematico.

Attraverso una rigenerazione periodica del tempo, la memoria storica, cioè il ricordo degli avvenimenti non archetipici, come anche il ricordo degli avvenimenti personali, riuscivano ad essere tollerati dalle popolazioni tradizionali anzi, accadeva di più; attraverso questi riti ciò che non era riconosciuto come reale veniva invalidato, annullato.

Ad esempio, le tre notti di luna nuova, in cui la luna scompare, rappresentano la morte dell’uomo e la morte periodica dell’umanità perché sono i tre giorni di tenebra che ne precedono la rinascita, la rigenerazione.

Secondo le Upanishad, sacre scritture indù, le anime sulla luna si riposano in attesa della prossima reincarnazione. Alcuni miti africani e australiani evidenziano una frattura tra il destino della luna e quello dell’uomo, narrando di un messaggio, trasmesso dalla luna agli uomini, per mezzo di un animale a lei sacro (lepre, cane, lucertola), per assicurarli che “come io muoio e resuscito, così anche tu morirai e tornerai in vita”. Ma il messaggero, per incomprensione o cattiveria, comunica precisamente il contrario, cioè che l’uomo, dopo la morte, non rivivrà più: così ha origine la mortalità dell’uomo.

La luna è legata non solo alla morte fisica, ma anche a quella iniziatica, cioè a tutte quelle cerimonie di iniziazione in cui l’adepto celebra la propria trasformazione interiore, sperimenta la morte della sua vecchia personalità e la rigenerazione come “uomo nuovo”.

È importante evidenziare che l’elemento ciclico di questi miti (vita – morte – rinascita) corrisponde alle fasi lunari (apparizione, crescita, decrescita, scomparsa seguita dalla riapparizione dopo i tre giorni di tenebra); questa corrispondenza:

 

«non è importante soltanto perché ci rivela la struttura lunare del “divenire” universale, ma anche per le sue conseguenze ottimistiche: infatti, proprio come la scomparsa della luna non è mai definitiva, poiché è necessariamente seguita da una luna nuova, la scomparsa dell’uomo non lo è di più; in particolare la scomparsa stessa di una intera umanità (diluvio inondazione, scomparsa di un continente, ecc.) non è mai totale, poiché una nuova umanità rinasce da una coppia di sopravvissuti» (ivi, p. 89)

 

 

Abbiamo dunque la conclusione effettiva di un determinato intervallo temporale e l’inizio di un altro intervallo. Quello che più interessa però è legato soprattutto all’abolizione del tempo trascorso; questa infatti rappresenta una combustione, un annullamento dei peccati e delle colpe che l’individuo e la società hanno commesso e non una semplice purificazione. La rigenerazione e la nuova nascita rappresentano il tentativo di ripresa e di ripristino dell’illud tempus.

Nell’esempio del ciclo lunare, la morte dell’uomo e la morte periodica dell’umanità sono necessarie proprio come lo sono i tre giorni di tenebra che precedono la rinascita della luna. La morte dell’uomo e quella dell’umanità sono indispensabili per la loro rigenerazione.

In conclusione, Eliade scrive:

«possiamo osservare che ciò che domina in tutte queste concezioni cosmico-mitologiche lunari è il ritorno ciclico di quello che è stato prima, in una parola, l’ “eterno ritorno”. Anche qui ritroviamo il motivo della ripetizione di un gesto archetipico, proiettato su tutti i piani: cosmico, biologico, storico, umano, ecc. ma scopriamo insieme la struttura ciclica del tempo, che si rigenera a ogni nuova “nascita”, su qualsiasi piano essa avvenga. Questo «eterno ritorno» tradisce un’ontologia non contaminata dal tempo e dal divenire […] il “primitivo”, conferendo al tempo una dimensione ciclica, annulla la sua irreversibilità». (ivi, p.91)

 

 

 

                                                                                                         Concetta Reda