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Conferenza di Sviluppo della Facoltà

01/04/2005 17222 lettori
6 minuti

Fisciano, 28 febbraio–2 marzo 2005

Intervento del
Presidente dell’Area Didattica
di Scienze della Comunicazione

L’Area Didattica di Scienze della Comunicazione

Roberto Cordeschi

Rispetto agli altri CdL che appartengono alle diverse Aree Didattiche della nostra Facoltà, quello in SdC ha una storia molto più breve, pur essendo il più longevo tra gli altri omologhi in Italia. La proliferazione dei CdL in SdC è stata dirompente quanto disordinata: si è passati dai 5 CdL attivati a partire dal 1990 (Salerno e poi Siena, Torino, Bologna e Roma “La Sapienza”) ai 78 attuali. Un’accelerazione notevole è stata impressa dalla Riforma: si è passati dai 17 Atenei che ospitavano un CdL in SdC nel 2000 agli attuali 41. L’offerta didattica si è dilatata poi con le lauree specialistiche, i master di I e II livello, le scuole post-laurea. Secondo i dati ufficiali dello scorso anno, sono stati licenziati circa 7000 laureati in SdC (Ufficio Statistico MIUR, 2004).

Nel quadro di una crescita così accelerata si sono posti di fatto due problemi strettamente collegati. In primo luogo c’è stato il problema della natura stessa dei CdL in SdC come tali, che hanno tentato di darsi un’identità culturale e scientifica visibile; in secondo luogo c’è stato il problema della loro collocazione nelle Facoltà ospiti, che si sono trovate a dover accogliere, accanto alle discipline più tradizionali, nuove discipline che avevano tuttavia già avuto un proprio riconoscimento al di fuori del mondo accademico (i CdL in SdC che nel frattempo sono diventati Facoltà autonome sono tuttora una minoranza). Qualcosa del genere era già avvenuto per CdL come Sociologia e Psicologia, ma con tempi e modalità molto diverse. Scompensi e improvvisazioni ravvisabili in questi anni all’interno di non pochi CdL in SdC possono essere misurati in relazione alle difficoltà poste da questi due ordini di problemi, col risultato che non è troppo difficile scoprire attualmente in certi CdL una scarsa autonomia rispetto alle Facoltà ospiti o un profilo debole, quando non velleitario, sia nell’offerta formativa che nell’attività di ricerca dei relativi Dipartimenti e dottorati. Non di rado si ha la sensazione che la parola “comunicazione” sia stata aggiunta in modo estemporaneo a discipline di aree sociologiche, psico-pedagogiche, storico-giuridico-economiche e così via.

Credo di poter dire che il nostro CdL, con la sua storia più che decennale alle spalle, abbia nel tempo ridotto ed eliminato questi rischi di identità e di collocazione. Le stesse origini del CdL, caratterizzate da un forte interesse per gli studi comunicazionali in ambito linguistico-informatico piuttosto che genericamente sociologico o giuridico-politologico come in altre sedi, hanno contribuito a dare coerenza all’attuale assetto formativo di base del CdL triennale, che, nonostante alcune incertezze di cui dirò, si presenta con una offerta di conoscenze di base insieme ben delineata ed originale a confronto di altri CdL omologhi, e la cui multidisciplinarietà contribuisce a disegnare e non a offuscare un’identità culturale e formativa specifica.

In realtà (e lasciando da parte il fatto che la Riforma ci è stata imposta “a costo zero”), il vero problema è stato per noi, stante la vaghezza dell’attuazione della cosiddetta laurea specialistica, come convertire in un percorso di studi triennale l’esperienza formativa di un CdL quinquennale, che avremmo voluto certo riformare in alcuni aspetti ma che cominciava anche a lasciarci soddisfatti, dopo i tanti anni di crescita e sperimentazione. Non c’è dubbio che l’offerta didattica del CdL triennale sia partita inizialmente con un certo sovraccarico formativo, con una eccessiva frammentazione di moduli, programmi e prove d’esame, che rischia sempre di rallentare seriamente i tempi della conclusione del percorso degli studi da parte degli studenti, e di creare fenomeni di fuori-corso, dispersione e abbandono. A questo si è provato a porre rimedio in corso d’opera rivedendo il percorso formativo, anche in vista delle lauree specialistiche che intanto si progettavano. Da questo punto di vista, non possiamo essere ancora soddisfatti dei risultati ottenuti, in particolare per il basso numero di laureati a conclusione del primo triennio, anche se il dato complessivo dell’Ateneo è ancora più deludente, come nel resto dell’Italia. Può confortare che il numero degli abbandoni, stando ai dati (parziali) forniti dal CED, sia molto basso: dal primo al secondo anno si registra una percentuale pari al 2,7%. La media dei CFU conseguiti dagli studenti è stata invece poco soddisfacente (61,8% nel primo anno, ad esempio). La revisione del percorso formativo triennale e del sistema dei CFU da noi attuata lo scorso anno dovrebbe migliorare questi dati. Al momento, puntiamo su questa revisione piuttosto che su corsi di recupero, anche per la difficoltà di organizzarli nell’attuale situazione di incertezza sul destino e sulla natura stessa delle Lauree triennali. Non mi dilungo oltre su questo punto, ma personalmente ritengo che tali corsi, comunque si voglia concepirli e organizzarli in futuro, non vadano intesi come un compito da assumersi per rimediare alle deficienze della scuola dell’obbligo.

Detto questo, quello che a me sembra permanga tuttora è l’imbarazzante ambiguità sulla natura stessa della Laurea triennale, che non è stato possibile sciogliere, e non solo per il carattere convulso della sperimentazione della Riforma, messa sempre in discussione da nuovi o paventati indirizzi ministeriali (fino all’ultimo percorso a “Y” e alla trasformazione delle lauree specialistiche al momento stesso della loro attivazione). Mi riferisco all’ambiguità di pensare al CdL triennale da una parte come a un percorso formativo strutturato in modo da avviare direttamente e in tempi brevi all’inserimento nel mondo del lavoro, dall’altra come a un percorso formativo di base di tipo generalista, primo gradino per accedere poi alla specializzazione post-triennio. Tale ambiguità è stata incoraggiata dalle stesse richieste ministeriali di stabilire e dichiarare esplicitamente “sbocchi professionali” per i laureati della Laurea triennale, quando niente era invece possibile garantire in proposito, e addirittura, in certi casi, neppure era possibile farlo sulla base degli stessi ordinamenti vigenti in certi settori. La cosa si è ulteriormente complicata per il fatto che non era chiaro il ruolo della stessa Laurea specialistica rispetto ad altri percorsi di formazione post-laurea, come dottorati, scuole di specializzazione, master.

Pur tra queste incertezze e difficoltà, nel CdL triennale abbiamo tentato, in continuità con l’esperienza del precedente ordinamento degli studi quinquennale, di perseguire l’obiettivo di uno sviluppo equilibrato tanto nell’offerta formativa quanto nel reclutamento dei docenti. A conclusione del primo triennio di sperimentazione, si può riconoscere che non c’è stata una proliferazione o una cancellazione occasionale di corsi e di materie, e per quanto riguarda il reclutamento dei docenti, in sede di programmazione si è viceversa favorito, a tutto vantaggio della didattica, il contenimento del numero delle supplenze e degli insegnamenti a contratto, fino a ridurlo attualmente al minimo indispensabile (faccio tuttavia presente che un certo numero di docenti a contratto di provenienza professionale è un elemento che viene valutato positivamente dai parametri ministeriali nel caso dei nostri CdL).

Il numero dei docenti incardinati resta però ampiamente insufficiente non solo rispetto alla richiesta esterna di immatricolazioni, ma anche rispetto al numero massimo di immatricolazioni da noi programmato. Faccio presente che a fronte di un numero di 2644 studenti iscritti all’Area Didattica di SdC si contano 29 docenti (ricercatori inclusi), contro i 28 docenti di Sociologia a fronte di 1655 studenti, i 23 docenti di Filosofia a fronte di 253 studenti e i 72 docenti di Discipline Letterarie a fronte di 3291 studenti (questi dati, che non includono i docenti a contratto e supplenti, valgono al 18.2.2005, e comprendono solo i CdL triennali della Facoltà).

Non deve sfuggire che il dato di SdC si riferisce al numero degli studenti immatricolati sulla base del numero programmato. La richiesta di accesso al nostro CdL è infatti molto più ampia: in questo a.a. è stata di circa mille unità, 992 per l’esattezza. L’orientamento del CdL è stato da molti anni quello di reclutare, sulla base di una prova di accesso selettiva, il numero massimo di studenti che, in relazione alle risorse disponibili in Facoltà, consentisse di assicurare una didattica soddisfacente, ma devo dire che a partire dall’a.a. in corso abbiamo dovuto arrenderci di fronte alla scarsità di risorse a noi destinate, e siamo stati costretti a limitare ulteriormente il numero delle immatricolazioni, scendendo dalle precedenti 500 alle attuali 300 unità (a fronte, ripeto, di 992 richieste di accesso). Si è trattato di un provvedimento necessario perché in caso contrario non avremmo potuto progettare e cominciare ad avviare l’attivazione, indispensabile data la struttura del CdL triennale, di due lauree specialistiche. E nonostante questo, basta fare un po’di conti sulla base dei dati che ho appena riferito, le difficoltà non sono e non saranno poche, soprattutto in assenza di risorse adeguate, che possono metterci nella condizione di non poter soddisfare i requisiti minimi richiesti. Questa riduzione del numero programmato l’abbiamo comunque fatta controvoglia, e personalmente ritengo che, per la Facoltà nel suo insieme, dover rinunciare a degli studenti a fronte di una forte richiesta esterna di accesso non è una sconfitta, ma quasi. In ogni caso, si tratta di un evento che non può certo essere considerato come un momento positivo dello sviluppo della Facoltà.

Nello scorso anno, per iniziativa congiunta del Dipartimento di SdC e del CdL, abbiamo organizzato una sorta di nostra “Conferenza di sviluppo”, che per quanto riguarda il CdL seguiva la positiva valutazione da parte dei valutatori della CRUI (su cinque dimensioni rilevate, il punteggio medio attribuito al nostro CdL è risultato di poco meno di 3 su una scala che va da 0 a 4) e un primo complessivo apprezzamento del CdL triennale da parte degli studenti (dati del CED). In quella occasione, oltre a tentare un bilancio, si è provato a valutare diverse ipotesi di sviluppo, tanto nell’offerta didattica che nella ricerca (nel nostro caso le attività del CdL e del Dipartimento hanno proceduto sempre in sintonia).

A proposito del CdL triennale, è stata confermata l’esigenza di sviluppare ulteriormente i processi di internazionalizzazione del CdL (cito l’accordo con il Link-Campus dell’Università di Malta, ma anche gli scambi di studenti/docenti via Erasmus) e, per quanto riguarda l’offerta formativa, di puntare alle conoscenze di base che già hanno dato al CdL una precisa identità all’interno della Facoltà in questo primo triennio di sperimentazione, rendendo la didattica ancora più efficace attraverso l’attivazione di nuovi Laboratori incardinati nei corsi. Tra queste conoscenze di base (mi riferisco al biennio della triennale) vorrei citare l’insegnamento della Logica, non perché sia più importante di altri del biennio, ma perché è il meno scontato. Noi continuiamo a ritenerlo indispensabile nella formazione di base di uno studente di SdC (se servisse, rimando a recenti analisi sulla sua centralità in un percorso formativo che porta allo sviluppo di abilità argomentative e comunicative, per esempio in G. Boniolo e P. Vidali, Strumenti per ragionare, Milano, 2002). Ma voglio aggiungere che, personalmente, lo ritengo indispensabile nella formazione di base di ogni studente di una Facoltà di Lettere. E mi sembra di trovare conforto in questa convinzione dal recente inserimento di cicli di lezioni di Logica nei corsi di recupero organizzati dall’Area didattica di Discipline Letterarie. In realtà, come CdL in SdC siamo tra i pochi CdL di Facoltà umanistiche nei quali l’importanza di questo insegnamento viene riconosciuta a livello di conoscenze di base (questo, per inciso, in un contesto generale in cui ci si può laureare in Filosofia, lo dico per esperienza, senza sapere che cos’è un sillogismo).

Vorrei essere chiaro quando parlo di conoscenze (o “saperi” come si dice) di base. Mi sembra infatti che nel nostro CdL (ma di nuovo, forse non solo nel nostro) quella tra conoscenze di base e conoscenze con forte connotazione tecnologica sia certe volte una falsa alternativa. La cosa è secondo me chiarissima se si pensa al ruolo al quale viene normalmente relegato l’insegnamento dell’Informatica nelle nostra Facoltà—di nuovo, parlo in generale della Facoltà, ma mi riferisco in particolare alla nostra Area Didattica, soprattutto per quanto riguarda le lauree specialistiche.

Mentre tutti riconoscono ormai l’importanza, per gli studenti dei CdL umanistici, della preparazione informatica “di base” consistente nell’abilità nell’uso del calcolatore (è questa che ispira anche slogan politici molto noti), che a sua volta si riduce di norma nell’abilità di utilizzare qualche software per Windows (Word e Excel o in generale Office, con l’eventuale conquista della cosiddetta “patente europea”), pochi si rendono conto, temo, che quello che va potenziato nei percorsi formativi è l’approfondimento di almeno parti dell’Informatica teorica e lo studio di almeno qualcuno degli algoritmi che stanno alla base di certo software specializzato. Ad esempio, tecniche di cluster analysis o di data mining, applicate nelle ricerche di mercato, possono rivelarsi importanti per chi studia marketing in una laurea specialistica; queste tecniche, unitamente alla rappresentazione dei dati in modo chiaro, lo sono nella statistica sociale; lo studio delle ontologie e della rappresentazione della conoscenza lo è nella costruzione di ipertesti efficaci; questi studi e quello dell’elaborazione del linguaggio naturale lo sono nel web semantico. Per non parlare di tutto il settore dedicato alla comunicazione tipo e-government e simili.

Noi abbiamo cominciato (solo cominciato) ad andare incontro a queste esigenze inserendo nella Laurea specialistica attivata due corsi da raggruppamenti di Informatica dedicati, o che possono essere di volta in volta dedicati, ad argomenti di questo tipo. Personalmente ritengo che quello in cui potrebbero incorrere in futuro i nostri laureati nelle specialistiche è da una parte di trovare come veri concorrenti nel mondo del lavoro laureati dei CdL in Informatica negli indirizzi orientati alle discipline della comunicazione, dall’altra, come è stato correttamente osservato (D. Marini), “di restare ostaggi dei consulenti e degli esperti [informatici] che, se non seguiti, potrebbero condizionare con progetti inadatti il funzionamento stesso dell’organizzazione aziendale” e degli altri settori dove le discipline della comunicazione giocano un ruolo attualmente centrale (marketing, nuovi media e media audio-visivi, e-government e così via).

Comunque, per quanto riguarda gli insegnamenti delle specialistiche, va eliminato l’equivoco di ritenerli una sorta di “biennalizzazioni” (si sarebbe detto una volta) più o meno avanzate di insegnamenti della Laurea triennale. Ci siamo perciò riproposti di individuare i contenuti specifici degli insegnamenti del biennio in modo coerente al profilo professionale spendibile con le diverse lauree specialistiche.

Questo mi porta di nuovo, concludendo, alla questione del rapporto con il mondo del lavoro. I dati dell’“Osservatorio sugli studenti e sui laureati in SdC” attivo nel nostro Dipartimento sono confortanti (si può vedere in proposito la sintesi di P. Montesperelli e mia nel sito web dell’Area Didattica di SdC), ma si riferiscono ai nostri laureati nella Laurea quinquennale. Questi ultimi hanno trovato molto spesso collocazioni più che soddisfacenti e di successo nel settore pubblico e privato. Come continuare a raggiungere questi risultati positivi nel clima di disordinata sperimentazione al quale siamo inchiodati da tempo, mettendo in conto che, in prospettiva, la situazione occupazionale nel settore potrebbe diventare meno favorevole? E’ urgente porsi con chiarezza il problema del tipo di formazione e delle opportunità che possono offrire le lauree specialistiche, pur scontando le difficoltà che vengono dalle contraddittorie impostazioni ministeriali. L’idea che ci orienta è che la formazione data da una Laurea specialistica deve tener conto dell’offerta del territorio e delle sue prospettive occupazionali, ma fino a un certo punto e comunque non in modo rigido (i Comitati di Indirizzo sono importanti in tal senso). Radicare strettamente al territorio una Laurea specialistica potrebbe comportare il rischio di legare la formazione dei laureati a richieste di iperspecializzazione in domini settoriali del mercato del lavoro, magari emergenti in un dato momento ma destinati a una più o meno rapida obsolescenza. La preparazione offerta dai nostri percorsi formativi specialistici deve essere invece tale da mettere i nostri laureati in grado di affrontare in modo duttile e adattativo eventuali crisi di settori del mondo produttivo e del mercato del lavoro di riferimento.

Redazione di Comunitàzione
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