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La modernità e la musica

04/05/2007 19727 lettori
5 minuti

       La crisi della comunità: la modernità

 

 
Il moderno si può riassumere con le parole di Piazzi, come la fine, l’oblio di un periodo in cui le cose erano contenitori per la storia, guidata dalla memoria perché è sopraggiunto il Capitale: Il Capitale è una realtà della storia. Però lui si sostituisce alla storia. E’ così succede che un affetto della Storia mette fuori causa la Storia stessa. Il Capitale sta decidendo del futuro.[…][1]

L’avvento della società moderna segna un passaggio importante per il soggetto che non si riconosce più nei ruoli tradizionali che da sempre lo avevano vincolato. Allora l’individuo tende a presentarsi come un essere unicamente responsabile di sé stesso[2] perché la realtà appare sempre meno significativa…c’è meno simbolico. L’individuo è costretto dall’ambiente sociale a sviluppare nuove forme di personalità per sostituirle alle vecchie identità collettive.[3]

Il passaggio dalla comunità alla modernità è quello dalla società pre-borghese a quella borghese che corrisponde, come sostiene G.Huppert, con la nascita dei comuni nonché l’aumento quantitativo degli scambi commerciali, dunque l’introduzione del denaro.

In un certo senso la gente di città viveva al di fuori dell’ordine naturale. Si manteneva non coltivando la terra, bensì il denaro, che non conosce stagioni, è immune dal gelo, al sicuro dalle cavallette, e quando è usato nel modo giusto si riproduce in quantità che appaiono illimitate.[..][4]

L’uomo nella comunità produce cose dotate di una loro utilità e che hanno quello che Marx ha chiamato valore d’uso. Al contrario nella società capitalistica si afferma sempre di più una utilità economica, ovvero c’è sempre più valore di scambio. C’è cioè una separazione delle cose dalla loro qualità simbolica: quindi anche se musica non assume più valore all’interno di una classe, adesso vale come merce per essere scambiata.

Abbandonare il riferimento di un Noi forte in quanto contrapposto al Loro, significa concretamente abbandonare i diversi processi mitopoietici […] che hanno incarnato storicamente le varie forme della distinzione Noi/Loro e che concretamente sono intervenute a formare l’identità individuale.[5]

Il denaro dunque spoglia le cose del simbolico: la vita appare, come sostiene Simmel, energia pura senza forma e l’uomo come un divenire insensato. Alla triade individuata da K.Marx Merce-Denaro-Merce si sostituisce quella Denaro-Merce-PiùDenaro: scompare cioè quell’aspetto umano della merce rappresentata dall’individuo che opera lo scambio,

Il valore di scambio produce una realtà sociale che riduce sensibilmente le barriere simboliche che tradizionalmente si ponevano tra l’uomo e l’ambiente.[6]

Il denaro quindi distrugge ogni differenziazione qualitativa epurando quello sfondo di significati, ovvero quella società consistente (come è stata definita da J.Camatte[7]) che prevedeva la distinzione dell’uomo in classi si appartenenza e che dunque gli conferiva un’identità sociale. Ora invece l’individuo è posto di fronte ad un infinito spazio di possibilità, un mondo di contingenza.

Il valore di scambio dissolve ogni distinzione qualitativa nel valore uniforme del denaro, distrugge le forme chiuse delle appartenenze socio-culturali e dischiude all’uomo l’orizzonte delle possibilità infinite[8]

Nella società moderna l’individuo non ha più un senso perché solo bios, ma lo acquista solo se riconosciuto dall’esterno sulla base del prodotto del suo lavoro, dal quale viene estraniato:

I mezzi materiali che dovrebbero servire alla vita vengono a determinare la sua natura e i suoi fini, e la coscienza dell’uomo diventa totalmente vittima dei rapporti di produzione materiale.[9]

e ancora

[…]Tramite la sua attività creatrice l’uomo, facendo uso delle sue capacità, le trasforma in oggetti. Di conseguenza gli oggetti sono riflesso delle sue capacità. Si procede cioè verso l’alienazione dell’uomo nonché alla sua coseificazione: l’uomo è visto come mezzo, è ridotto al capitale che bisogna valorizzare.[10]

Il Capitale vuole degli individui che siano dipendenti unicamente dalle loro abilità e garantisce loro il diritto di proprietà attraverso il quale l’uomo moderno può distaccarsi dalla vita comunitaria.

La Vita diventa flessibile, disponibile al cambiamento, capace di adattarsi alle forme fornite dall’esterno:

La persona…si costituisce sul possesso, sull’avere e anche sulla sua predisposizione a cambiare forma e contenuti: In questo modo l’uomo in quanto persona, ha la possibilità di autodeterminarsi, di essere creativo, ma anche la libertà di autoriprodursi, di annularsi. Entrambe le cose sono possibili.[11]

Allo stesso modo il denaro ha desacralizzato la musica, dunque, le ha tolto quell'aura magica che essa ha sempre posseduto nelle società tradizionali e ciò che rimane sembrerebbe essere appunto la sua mera esistenza cosale[12]. Il fatto che oggi esistono moltissimi generi musicali assolve il bisogno del Capitale di riprodursi.

La società, come la vita, è il prodotto di una combinazione di singoli elementi e al pari della cellula è uno statuto che non riflette la sostanza e i contenuti delle sue componenti. La società si forma perché prende le distanze dalla vita e si rende autonoma in quanto realtà inorganica[13], definita da Durkheim, come realtà sui generis.

In questo modo allora la Vita diventa decontestualizzazione, astrazione dalla non vita, perché la Vita si libera di quella costellazione di valori organizzati e interiorizzati dalla mente. La Vita ora è nuda davanti a sé stessa.

Allo stesso modo la musica si scioglie di quei significati che la imbrigliavano alla distinzione per le varie classi sociali, e dunque non è più proprietà della comunità, creandosi un vasto sistema di contingenze.

La gente, che porta a spasso i registratori portatili e le radio per ascoltare la musica popolare è letteralmente avvolta in un bozzolo di significati auto-prodotti quasi ogni momento del giorno; nelle società pre-moderne essa era inclusa (faceva parte) di un autoritario cerimoniale religioso, nel quale la frequenza non era attesa ma forzata[14].

La crisi della comunità segna la vita del bluesman che, avvenuta la fusione tra la musica Spiritual e la cultura dei bianchi da poco appresa, si reca negli stati ricchi del Nord degli Stati Uniti, per vivere di musica: egli ha dovuto abbandonare la comunità, un qualcosa di più di un mero insieme di individui; e se anche ha goduto di maggiore libertà, rispetto alla discriminazione che lo vedeva perseguitato al Sud, la sua condizione lo ha portato all'alienazione, all'anomia[15]. La sua musica sarà valore di scambio per le industrie discografiche, la sua cultura musicale, banalizzata e costretta a rispettare la forma della canzone, nei tempi e nei contenuti imposti dal gusto dei bianchi, gli unici destinatari della merce musicale. Il nero è entrato nella società, e si è alienato: è solo di fronte a se stesso. Il blues racchiude in sé il desiderio di riprodurre quello spirito comunitario che contraddistingue la memoria del suo gruppo che però è persa, poiché soggetta alla contingenza del sociale. Il bluesman cerca di riprodurre uno spirito comunitario - da dentro - attraverso la musica, dialogando con la chitarra che sostituisce le altre voci nel canovaccio del call and response.

Ora non c'è concretezza e significato se non quello che possiamo desumere dalla nostra vita nuda e cruda contrapposta alla non-vita. Oggi non possiamo più cercare un significato nell’esecuzione collettiva della musica, come avveniva nella colletività, e il sociale (Capitale) vuole convincere l’uomo che deve trovare la vera musica nel suo ascolto, nella sua comprensione, seguendo precisi schemi e modelli. Ma sono tutte menzogne perché il suono vero della Vita è selezionato dalla Vita stessa.

Il senso dell'esperienza sonora, vista la contingenza e la poca umanità che ci circondano, viene sempre più ricercato nel godimento e nella metabolizzazione della musica per conto proprio, perché a regolare questo in sé è proprio quel sentire profondo che trova la sua origine nell'esperienza uterina dove il soggetto, per la prima volta, ha selezionato il suo ordine bio-musicale[16].
Se non vi è un ascoltare coordinato con un sentire la fruizione musicale è soltanto extramusicale ovvero flusso sociale contingenza, astrazione, vuoto di senso. La musica è astratta di per sé, è un divenire di suoni che possono seguire certe regole come essere improvvisati: spetta al nostro sentire sintonizzarci su ciò che più si avvicina alla nostra sensibilità, poi si potrà ascoltare e di conseguenza relazionarsi con chiunque sia interessato alle nostre asserzioni, dare voti, stilare classifiche, fare distinzioni all'interno dei generi.



NOTE:

[1] G.Piazzi (Presentazione) P.Stauder La memoria e l’attesa p.15

[2] P. Stauder La memoria e l’attesa, (capitolo IV, p. 68)

[3] P.Stauder ibidem (capitolo V, p.96)

[4] G.Huppert Storia sociale dell’Europa nella prima età moderna, p.31 Il mulino Bologna 1990

[5] F.Monattini La costruzione sociale dell’alienazione (capitolo I, p.31)

[6] P.Stauder (capitolo VII, p.114)

[7] Il capitale totale p.233

[8] P.Stauder (capitolo V, p.78)

[9] H.Marcuse Ragione e Rivoluzione, p.308 Il Mulino, Bologna 1966

[10] A.Ponzio Elogio dell’infunzionale. Critica dell’ideologia della produttività, p.159

[11] P.Stauder (capitolo V, p.72

[12] E.Bridda e L.Casaccia Musica e mercato

[13] P.Stauder (capitolo III, p.57)

[14] Martin, J. P. Sounds and Society, p. 267

[15] Durkheim sosteneva che l’implacabile divisione del lavoro e l’importanza attribuita alla persona potevano determinare una società talmente frammentata da portare all’anomia come situazione di crisi del sistema di norme e valori capaci di garantire la coesione di un aggregato sociale.

[16] E.Bridda e L.Casaccia Musica e mercato