Progettare l'interazione
Luca Chittaro è docente ordinario di Interazione Uomo-Macchina all'Università di Udine. Nel 1998 ha fondato il laboratorio di ricerca HCI Lab di cui è direttore. E' presidente di Sigchi ITALY, l'associazione italiana sull'Interazione Utente-Calcolatore, ed è autore della rubrica "Interattivo" su Nòva 100 - Il Sole 24 Ore.
Prof. Chittaro lei si occupa di un ambito di ricerca che va sotto il nome di Interazione Uomo-Macchina. Uno dei principali obiettivi che questo settore si propone di raggiungere riguarda la comprensione delle modalità di interazione tra individuo e tecnologia al fine di realizzare artefatti il cui utilizzo possa risultare quanto più semplice, immediato ed intuitivo possibile.
In un mondo in cui la tecnologia (nelle sue diverse forme) è entrata a far parte sempre di più del vissuto quotidiano di ognuno di noi ed in cui, però, paradossalmente, la forbice del digital divide tra Nord e Sud (d'Italia e del mondo) continua ad allargarsi in modo preoccupante, in che modo gli studi di Interazione Uomo-Macchina possono (se possono) fornire concretamente un loro contibuto per la risoluzione del problema dell'"accesso" all'utilizzo diffuso delle tecnologie?
Nel mondo dell’Interazione Uomo-Macchina, il termine “digital divide” viene interpretato nel modo piu’ ampio e profondo possibile. La disciplina si interessa infatti a tutti i possibili fattori che possono mettere le persone in una situazione di svantaggio che limita o preclude l’accesso alle piu’ recenti tecnologie dell’informazione. Il problema non e’ infatti soltanto economico, come spesso tendono a presentarlo i media: anche se riuscissimo a costruire dei computer o dei terminali mobili dal costo irrisorio (immaginiamo solo 1 Euro) e rendessimo la connessione a Internet totalmente gratuita, non garantiremmo affatto l’adozione e l’uso proficuo e costante di queste tecnologie da parte di tutte le persone. Perche’ queste tecnologie sono ancora troppo difficili da usare per ampie fasce di popolazione. In alcuni casi, il motivo risiede nel basso livello culturale. In altri casi, ha a che fare con limitazioni sensoriali, motorie o cognitive, ad esempio nel caso di utenti disabili oppure di utenti anziani. Quando un’applicazione od un servizio digitale mira ad essere usabile ed usato veramente da tutti, va seguito un metodo particolare di progetto che tecnicamente si chiama Universal Design. Con tale metodo, e’ possibile creare delle interfacce che da un lato sono estremamente semplici e dall’altro forniscono modalita’ d’utilizzo adatte alle possibili limitazioni dell’utente.
Un altro tema chiave nell'ambito del suo filone di studi è legato al concetto di "interaction design". Con tale termine, in buona sostanza, si identifica l'attività del progettare correttamente l'interazione di un essere umano con un artefatto tecnologico.
Quali sono, a suo parere, i tre concetti fondamentali da tenere sempre in considerazione (a prescindere quindi dalle peculiarità di sorta per cui vengono realizzati i diversi artefatti) per la progettazione di una corretta interazione tra un utente ed un sistema artificiale (sia esso un sistema operativo per PC, un sistema hardware per lavatrici o altro)?
Purtroppo di concetti da tenere sempre in considerazione ne dovrei elencare non tre, ma almeno trenta… Comunque, volendo sceglierne tre puramente a titolo di esempio, potrei citare quelli di feedback (che ho illustrato qui: http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/07/il-feedback-del.html), feedforward (che ho illustrato qui: http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/11/il-sito-web-di.html) e coerenza (che ho illustrato qui: http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/09/riflessioni-su-.html).
E quali sono, invece, i tre principali errori che un buon progettista non dovrebbe mai commettere (di quelli da segnare in rosso per intenderci)?
Qui la cosa si complica ulteriormente perche’ ogni principio del buon design puo’ essere violato in tanti modi diversi, quindi dovrei probabilmente elencare centinaia di errori. Comunque, tre esempi di grossi errori del progettista sono sicuramente:
1) Non parlare con gli utenti all’inizio del progetto. Se vogliamo progettare qualcosa che sia utile, usabile ed usato da un gruppo di utenti, dobbiamo capire prima chi sono gli utenti per cui stiamo progettando: quali sono i loro bisogni? Le loro preferenze? Le loro abilita’?
2) Non parlare con gli utenti durante il progetto. Un vizio di molti designer e’ quello di credere di poter essere i giudici unici della qualità di cio’ che stanno creando. Se per loro e’ usabile, allora sara’ certamente usabile; se per loro e’ utile, allora sara’ certamente utile, e cosi’via.
3) Non parlare con gli utenti alla fine del progetto. Quando il design ha generato un prodotto completo, e’ necessario valutare sia le prestazioni oggettive che le impressioni soggettive degli utenti prima di metterlo sul mercato. Lanciare un prodotto senza questa valutazione finale e poi stare a vedere che succede non e’ un approccio molto rispettoso nei confronti degli acquirenti, che si trovano sostanzialmente a fare da “cavie” a proprie spese.
Che ruolo riveste l'elemento culturale nell'ambito dell'attività di progettazione dell'interazione?
La cultura in cui vive un’utente influenza vari aspetti dell’interazione con una macchina. Si va dalla comprensione di cio’ che la macchina propone (ad esempio, software sviluppati negli Stati Uniti fanno uso a volte di due simboli che a noi italiani sembrano due modi equivalenti di apporre una crocetta vicino ad una frase, mentre nella cultura anglosassone significano due cose opposte, cioe’ “si” e “no”) fino ad arrivare addirittura agli aspetti morali (ad esempio, un’icona di un’interfaccia grafica con un disegno di una donna in maniche corte e’ improponibile in certe nazioni). Tempo fa, avevo analizzato un caso curioso di un’icona che aveva suscitato reazioni negative anche in Italia a causa di fattori culturali legati a superstizioni popolari (http://lucachittaro.nova100.ilsole24ore.com/2007/08/design-delle-ic.html).
Design ed emozioni. Possiamo dire che un bravo designer deve essere in grado di pianificare anche il "percorso emotivo" (oltre a quello "fisico")
di un utente nell'ambito della sua attività di utilizzo e fruizione delle tecnologie?
Si, nei progetti di interaction design piu’ avanzato, ormai non si parla piu’ di sola usabilita’ ma di qualcosa di molto piu’ ampio denominato user experience, cioe’ tutto quello che l’utente percepisce nell’interagire con oggetti tecnologici. Cio’ include anche considerazioni su aspetti che prima erano stati trascurati a favore della sola semplicita’ d’uso, quali il piacere, il divertimento e le emozioni piu’ in generale. Progettare anche il “percorso emotivo” rende ancora piu’ multidisciplinare il lavoro dell’interaction designer, perche’ le fonti di ispirazione non si limitano piu’ a psicologia e tecnologia, ma vanno estese alle varie forme artistiche che hanno molto da insegnare su come si possono “creare emozioni”.