L’Italia dei Barron Robbers e dei corporate raiders: le banche (3)
(la prima parte)
(la seconda parte)
Gli speculatori professionisti avranno fatto anche loro –al momento opportuno (iniziale) – i loro guadagni.Ed il cerino rimane in mano ai piccoli risparmiatori le cui istanze di reclamo finiranno nel nulla perché nessuno gli ha ordinato di acquistare né le azioni,né i Junk Bonds,né i pacchetti dei Fondi di Investimento.
Qualcuno ha seguito lo sfacelo della Enron?Oppure nella nostra Italia i dissesti della Fiat,della Parmalat e della Cirio? O gli acquisti delle azioni delle Banche Argentine?
E si è reso conto che i procedimenti penali contro i legali rappresentanti ed i loro collaboratori finiscono poi –praticamente- nel nulla?
Ma è venuto il momento di passare decisamente alla situazione italiana,che è molto particolare per non dire unica tra i paesi industrialmente avanzati.
Una situazione finanziaria di una società è stabile quando i mezzi propri (chiamati contabilmente “patrimonio netto”) si equivalgono monetariamente al capitale fisso (contabilmente chiamato “Imobilizzazioni Immateriali” più “Imobilizzazioni Mteriali” chiamate “Beni Strumentali”).
Il principio è molto semplice:poiché il capitale fisso non è merce cedibile,esso deve essere finanziato da capitale monetario altrettanto fisso(Mezzi Propri).Cioè non recuperabile:i sottoscrittori del Capitale Sociale non possono riprendere tale fondo patrimoniale.
Quindi il rapporto tra Capitale Fisso e Mezzi Propri deve essere come minimo uguale ad 1.Meglio ancora se i Mezzi Propri superano di valore il Capitale Fisso.
Quanto alla liquidità le Attività Correnti (cioè i crediti riscuotibili a breve termine) devono superare di una volta e mezzo o due le “Passività Correnti” (cioè i debiti verso i fornitori e le banche).
Qualcuno ha visto nei bilanci italiani –tranne qualche rara mosca bianca che in Borsa spesso viene chiamata “blue ship” – un equilibrio del genere? Sicuramente no.Ed il motivo è storico.
L’industria italiana era praticamente inesistente prima del fascismo;e fu durante questo periodo che qualcosa fu fatto;anche se da considerarsi embrionale rispetto al livello di industrializzazione di altri paesi.
Storicamente l’inizio di un vero processo di industrializzazione va ricercato nella Guerra Civile Americana del 1860-65.Durante la quale l’Unionie Nordista – dotata di impianti industriali – si accorse che sviluppare l’industria degli armamenti provocava un feed back (cioè un ritorno espansionale positivo) su tutto il settore industriale.Oggi diremmo che,durante tale guerra,il PIL degli Stati dell’Unione crebbe con sorpresa di tanti economisti classici.
Durante tale disastrosa guerra,invece, la Confederazione Sudista-basata sull’agricultura- vide il proprio PIL(sempre come diremmo oggi)diminuire fino ad azzerarsi.E la propria moneta diventare carta straccia.
Furono quindi gli Stati Uniti –dando ragione postuma ad Hamilton contro Jefferson –a capire l’importanza di creare uno Stato Industriale;ancor prima della Gran Bretagna che viveva preva- lentemente sui profitti delle colonie.
E –dobbiamo dirlo – ancor prima della Gran Bretagna fu il famigerato nazismo htleriano a capire l’importanza di spingere l’industria sacrificando l’agricoltura (Goebbels:”meno burro e più cannoni”).
Quanto al ruolo del fascismo italiano per costruire un embrione di società industrialzzata, basta citare una frase pre-fascista (1906)del Ministro Francesco Saverio Nitti :” Non voglio rimproverare alcuni gruppi siderurgici di chiedere al Governo commesse economicamente molto vantaggiose,ma bensì di non fare nulla per creare una solida base industriale”.
Bisogna riconoscere che il regime fascista qualcosa fece per cercare di rimediare alle serie preoccupazioni di Nitti.Fu in quel periodo che nacque l’IRI,che si sviluppò la Fiat,la Bastogi,la Butoni,la Perugina,la Augusta,la Macchi,la Falck,la 1 AR,la Edison ed altre importanti società dalle quali ,poi,parti il vero sviluppo industriale dell’Italia
Quindi all’inizio della Repubblica Italiana un embrione di industria era stata creata;ma questo embrione doveva svilupparsi per dare luogo ad uno stato veramente industriale.
Ma il compito si manifestò subito molto arduo:i fondi del Piano Marshall servirono esclusivamente alla ricostruzione di quanto la guerra aveva distrutto (immobili,infrastrutture) ed a migliorarle;ma tali fondi non furono sufficienti per spingere l’industrializzazione del paese;nel senso che solo pochi spiccioli finirono per essere dedicati alla ristrutturazione ed allo sviluppo delle poche grandi imprese allora esistenti in Italia.
D’altro canto fortissima fu la resistenza dei latifondisti nel vendere parte delle loro proprietà ed investire il ricavato nell’industria (specie nel Meridione,dove l’attuale arretratezza va ricercata originariamente in questa forte resistenza dei latifondisti meridionali all’epoca).
(continua - la settimana prossima)