L’Italia dei Barron Robbers e dei corporate raiders: le banche (4)
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la prima parte)
(
la seconda parte)
(
la terza parte)
Lo sviluppo economico italiano dovette basarsi sul feed back personale delle poche grandi industrie.Le quali avevano bisogno,per ridurre i loro costi e facilitare il loro sviluppo ,di piccole aziende che lavorassero per loro (oggi diremmo che utilizzarono il sistema dell’outsourcing) fabbricando semilavorati e componenti.
E,quasi sempre,queste piccole aziende nacquero da tecnici,dirigenti ed operai che in precedenza avevano lavorato in tale aziende come dipendenti.
Ma questi nuovi imprenditori non avevano una lira.Come finanziare i loro investimenti in Capitale Fisso?Come potevano iniziare una nuova attività senza poter comprare beni strumentali?
Non vi fu che un metodo finaziaramente sballato,ma che all’epoca si presentava oggettivamente come unico:il ricorso alle banche anche per finanziare non solo il capitale circolante,ma anche i beni strumentali,i fabbricati,gli impianti,gli automezzi,ecc.
Nacquero così le prime srl che – si ricorda – dovevano avere un Capitale Sociale minimo di lire 50.000.Che per gli altri Stati industrializzati od in via di industrializzazione fu semplicemente considerato scandaloso.
Comunqe ciò provocò nuova occupazione,nuovi stipendi,una nuova modesta domanda che dette luogo allo sviluppo dell’artigianato e del piccolo commercio.
Si ricorda che per lo sviluppo dell’artigianato vennero concessi danari a fondo perduto,ed anche mutui trentennali al tasso dell’1% per finanziare i loro investimenti.
Insomma la piccola e media industria italiana nacque senza una lira;con mutui agevolati,ma soprattutto con gli affidamenti delle banche.Le quali –essendo padroni della situazione – persero l’occasione di farsi remunerare bene i loro interventi ;ma non persero l’occasione di farsi pagare questi interventi in maniera sproporzionata rispetto alle concrete esigenze di uno sviluppo industriale.
E quando l’imprenditore non poteva rientrare (od era in difficoltà) le banche provvedevano a trasformare l’indebitamento a breve in indebitamento a medio o lungo termine,facendo avere loro dei mutui il cui ricavato finiva per ricoprire l’affidamento concesso dalle banche in modo tale da far ripartire i conti correnti con affidamento da zero e proseguire nel mantenimento del fido.
Ma la redditività di queste piccole e medie aziende era pur sempre modesta.
Infatti avevano acquistato fabbricati industriali e beni strumentali utilizzando affidamenti bancari ed i mutui.Quindi i costi finanziari erano alti.
Vero è che le banche concedevano affidamenti,ma il loro costo era già altissimo.
E’ in questo momento storico che nasce in Italia quello spread tra tassi attivi e tassi passivi che ancora – per le sue dimensioni – è il triplo od il doppio di quello degli altri paesi industrializzati.Del resto ,allora,era praticamente impossibile cercare finanziamenti in moneta estera a tassi minori almeno della metà,perché le banche estere pretendevano garanzie che gli imprenditori italiani non potevano dare.Anche se al momento ciò sarebbe stato privo di rischi in presenza di un sistema monetario internazionale a cambi fissi.
Il grido di dolore degli imprenditori più comune all’epoca era “lavoriamo per le banche” .
Inoltre,dato l’impiego suddetto dei finanziamenti bancari a breve termine,erano caratterizzate continuamente da mancanza di liquidità.Il loro rapporto tra attività correnti e passività correnti non era di 1,5-2 volte;ma bensì il contrario.E spesso si trovavano in difficoltà solo per acquistare la materia prima.Bastava una piccola stasi delle vendite per rendere difficile anche una piccola produzione a magazzino che sarebbe stata poi venduta in seguito.
Già verso la metà degli anni ’60 molte piccole e medie imprese erano in crisi.Fu il boom edilizio a salvare molte di queste imprese. Infatti nacquero allora le prime “zone industriali”agevolate per gli imprenditori che ivi erano disposti a trasferirsi.
Poiché gli immobili delle loro aziende erano per lo più dislocate dentro la città o nelle stretta periferia,essi poterono vendere tali immobili a buon prezzo e rientrare negli affidamenti con le banche. Inoltre,poiché venivano scelti nuovi fabbricati industriaili più grandi e più moderni,poterono trasformare i loro mutui in nuovi mutui di più alto importo.
Questo salvò molte piccole medie ed anche grosse aziende.Ma la redditività?
Essa in generale non migliorò. Strutture aziendali approssi- mate,personale di basso livello,macchinari acquistati a risparmio non favorirono la produttività aziendale,che le Statistiche Ufficiali misuravano sulla base degli investimenti pro-capite,e non sui margini di profitto delle imprese.
Poi,spesso ,per stato di necessità delle imprese economicamente marginali,si diffuse l’evasione fiscale.Infatti in tali imprese,a bassissima redditività,l’imprenditore si trovava di fronte ad tre scelte:pagare le tasse,non riscuotere il suo compenso,chiudere l’azienda.
(continua - la settimana prossima)