Conto alla rovescia
Un altro record è stato toccato: petrolio a 105 $ al barile.
Avevo scritto il presente articolo il 5/01/08, quando il petrolio aveva appena superato i 100$ a barile.Indeciso se pubblicarlo, per il pessimismo che esprime, e per le troppo facili previsioni, lo rimisi nel cassetto. Ma in soli due mesi il greggio è aumentato di ben 5 $ al barile. Può darsi che in futuro, quando qualcuno rileggerà questo scritto, sorriderà: “Eh, sì... bello quando il petrolio stava a 105 $ al barile, ora ha superato i 150 ...”.
Sappiamo come l’aumento del greggio trascini con se tutta una serie di altri aumenti, perché dove il petrolio non entra come materia prima, vi entra come combustibile per i mezzi di trasporto e in tante altre forme insospettabili.
Contemporaneamente aumenta il costo del cibo, in generale. Milioni di ettari, soprattutto in America Latina, sono impiegati, anziché nella produzione di cibo, in coltivazione di piante per estrarre alcol e olio combustibile, in un costoso processo di trasformazione, al fine di ottenere carburante per trazione.
Altre grandi estensioni di terreno servono per l'allevamento di bestiame, destinato ad alimentare i mangiatori di "burgher". Questo tipo di cibo, a base di carne vaccina, infatti, richiede un gran dispendio di energia e di acqua, e produce grosse quantità di "gas serra".
Paradossalmente, per avere buoni raccolti, occorrono fertilizzanti, per sintetizzare e trasportare i quali serve tanto petrolio. Un cane che si morde la coda: per produrre carburante alternativo bisogna ricorrere, di nuovo, al petrolio. Quelle colture non saranno più redditizie con i prossimi aumenti del prezzo del greggio.
Già oggi si avvertono le conseguenze di queste scelte, con l’aumento, in generale, del prezzo del cibo, e in particolare dei cereali, base dell’alimentazione umana.
E’ di questi giorni la protesta degli agricoltori nel Lazio. La Pettinicchio (formaggi) ha chiuso. Il costo del gasolio, dei mangimi, dei fertilizzanti, i ritardi nei pagamenti (alcuni agricoltori attendono pagamenti, dalle aziende trasformatrici, della produzione 2006), il basso prezzo di acquisto imposto dalle catene di grossisti (le tre sorelle -mafia, camorra e ‘drangheta- controllano ogni anello della “filiera” commerciale) hanno reso la produzione di cibo poco conveniente per gli agricoltori, al punto che molti potrebbero fallire, causando così un ulteriore picco dei prezzi.
Dubito che il nuovo governo, qualunque esso sia, riuscirà a riformare il settore, depurandolo da speculatori e delinquenti. Ogni governo cala le braghe di fronte alle proteste delle corporazioni: vedasi tassisti, farmacisti, trasportatori, comuni campani che non vogliono discariche e inceneritori, salvo poi tenersi l’immondizia distribuita clandestinamente dalla camorra. Altri comuni non vogliono lo stoccaggio delle scorie nucleari, né il passaggio dell’alta velocità o il raddoppio delle autostrade.
Bisogna decidersi: o destinare la terra alla produzione di cibo per combattere la fame, ancora assai diffusa, o coltivare piante per far andare le auto. Per contro, il nostro governo, anziché cominciare a scoraggiare l’uso dell’auto, ad es. triplicando il bollo dei SUV o bloccandone la produzione, imponendo limiti di velocità strutturali nei motori, limiti alle cilindrate, convertendo il trasporto su gomma in quello ferroviario, fluviale -ma i fiumi si stanno prosciugando- o marittimo ecc., dà incentivi alla rottamazione, legata, però, all’acquisto di nuove auto.
Il fine è nobile: riduzione dell’inquinamento atmosferico. E’ però una decisione insensata, sia perché la rottamazione implica un costo per il riciclo, se ci sarà (e constatiamo come non sappiamo riciclare neanche rifiuti più semplici); sia perché la costruzione di qualsiasi oggetto implica consumo di energia, produzione di scorie ed impiego di materie prime sempre più rare, costose e preziose. Non solo, la nuova auto acquistata continuerà, comunque, ad inquinare. Sarà più efficiente, ma di gas serra ne produrrà ancora, e per molti anni, poiché sarà sempre più costoso sostituirla.
Ma ora si pone un interrogativo ancor più grave: quanto costerà farla circolare? Perché fra non molto, per un numero crescente di cittadini, s’imporrà la scelta: viaggiare o mangiare.
Non c’è speranza che scenda il prezzo del petrolio. Negli ultimi tre anni non ha fatto che salire, anche per la crescita dei consumi e della produzione industriale e agricola dei paesi emergenti, come Cina e India. Non è più questione di speculazione, ma di reale scarsità. I produttori si sono resi conto che i pozzi si stanno prosciugando rapidamente, i costi delle merci che quei paesi importano sono in crescita costante; vogliono, per questo, contingentare le esportazioni di greggio, cercando di guadagnare il più possibile dal petrolio che rimane.
Ora, questo prezioso elemento naturale, che per generarsi richiede milioni di anni e grandiose estensioni di foreste e animali, una volta finito sarà per sempre. Infatti, l’avvento dell’uomo sulla terra, risale a circa 3,5 milioni di anni fa, come differenziazione dagli altri primati. Tuttavia l’uso del petrolio data dagli ultimi due secoli, tempo infinitesimale, rispetto ai tempi geologici necessari per ricreare quei giacimenti, non solo, ma la produzione dei fossili richiede la presenza di specie viventi estese a tutto il globo, in particolari condizioni climatiche e geologiche, cosa non più riproducibile, proprio perchè alcune trasformazioni planetarie non sono più ripetibili; inoltre c'è la presenza umana, che tutto consuma e distrugge.
E’ pur vero che esistono riserve di carbone per diverse centinaia di anni, ma la loro trasformazione in sostanze combustibili è assai più dispendiosa di quella attuale, che trasforma le piante per usi veicolari. Si parla, infatti, di una quota importante di energia da impiegare in questa trasformazione, da sottrarre al prodotto estratto. Rimane, comunque, il problema dell’inquinamento, che con il carbone salirebbe a livelli assurdi.
A questo punto le decisioni divengono non più rimandabili, e da attuare in tempi brevi, dell’ordine di anni, non più di decenni. Occorre raggiungere accordi a livello mondiale, per rivedere tutti i consumi, imponendosi un piano di limitazione delle nascite.
La civiltà dei consumi è al termine, tutto andrà rivisto. L’era dell’auto ha iniziato il suo conto alla rovescia. Il petrolio che rimane è troppo prezioso per bruciarlo in gite, dissipandolo negli ingorghi quotidiani di centinaia di milioni di veicoli, in tutto il mondo, per non parlare dei sistemi di climatizzazione di abitazioni ed uffici. Il governo deve pianificare subito una riconversione industriale, per non lasciare milioni di persone senza lavoro.
Tutto deve essere subordinato alla produzione di energia dal solare e dall’eolico e a nuovi criteri di progettazione di abitazioni e stabilimenti. Via le automobili, per trasformare le autostrade in ferrovie ad alta velocità. Occorre ricostruire una rete di ferrovie locali, in parte utilizzando strade regionali e provinciali, non più utili al trasporto individuale di massa.
Basta trasporti inutili, le merci vanno prodotte e consumate localmente, soprattutto il cibo. Via gli imballaggi, per tornare all’acquisto del prodotto sfuso, igienicamente controllato. Via miliardi di bottiglie in plastica, per l’acqua minerale, basta bonificare gli acquedotti.
Fine delle megalopoli, con grattacieli ad altissimo consumo di energia. I parcheggi sotterranei e i multi-piano si possono ristrutturare per ospitare centri culturali, aree per giocare, fare sport, incontrarsi. Ritorno ai piccoli centri, recuperando antiche abitazioni, dove è possibile consumare meno energia, producendola sul posto. Trasformare ogni area impraticabile in superficie utile per i pannelli solari. Questi sono alcuni esempi di come sia possibile riorganizare la nostra società, la nostra cultura, adattandola ai cambiamenti climatici.
Il conto alla rovescia è iniziato, cerchiamo di arrestarlo.