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LE PARI OPPORTUNITA'

28/03/2008 10768 lettori
5 minuti
Mario e Lucia, entrambi sui trent’anni, hanno appena vissuto la triste esperienza di trovarsi all’improvviso senza lavoro per la chiusura delle aziende dove erano impiegati. Rendendosi conto della difficoltà di trovare una nuova occupazione ed essendo animati da un certo desiderio di autonomia, stanno valutando la possibilità di mettere in piedi una propria attività imprenditoriale. A causa della loro preparazione scolastica e della precedente esperienza lavorativa hanno entrambi in mente di aprire una tipografia. Non si sono mai incontrati prima, ma il caso vuole che oggi si trovino tutti e due nella sala d’attesa della locale Camera di Commercio per ottenere informazioni sulle agevolazioni per la nuova imprenditoria.
Seguiamo i nostri due aspiranti imprenditori mentre parlano con il funzionario.
Buon Giorno – saluta Lucia – Io avrei intenzione di aprire una tipografia. Ho sentito parlare di possibili agevolazioni per chi inizia una nuova attività e sono venuta ad informarmi”. “Certamente. Lei può accedere a dei contributi… – incomincia a spiegare l’addetto – … inoltre può ottenere…”.
Molto bene – afferma Lucia al termine delle spiegazioni – È proprio interessante. Può darmi i moduli per richiedere queste agevolazioni?” E dopo averli ottenuti se ne va con una certa soddisfazione.
Mario, nel vederla uscire così allegra e con un fascio di documenti sotto braccio, si sente sollevato perché pensa “Ottimo. Vuol dire che davvero è possibile essere aiutati nel mettere in piedi un’azienda”. Così, con un largo sorriso, spiega le ragioni della sua presenza. “Buon Giorno – esordisce Mario – Io avrei intenzione di aprire una tipografia. Ho sentito parlare di possibili agevolazioni per chi inizia una nuova attività e sono venuto a informarmi”. “Mi dispiace – si sente rispondere – ma non esistono forme di aiuti per lei”. “Ma allora, - replica stupito Mario – queste agevolazioni di cui avevo sentito parlare? E la signora che è entrata qui prima di me?”. “La signora può accedere ai contributi a sostegno dell’imprenditoria femminile” – risponde il solerte funzionario. Lei vuole dirmi che l’unico motivo per cui non posso accedere a degli aiuti è perché non sono una donna?” “Sì, è proprio così”, ammette l’altro con un certo imbarazzo.
A questo punto Mario ha due alternative: aprire la sua tipografia puntando unicamente sulle sue risorse oppure rinunciare al suo progetto e mettersi a cercare un lavoro da dipendente. Vediamo cosa succede nel primo caso.
Per raccogliere il denaro necessario alla sua nuova attività Mario dà fondo alla sua piccola liquidità, si fa prestare del denaro da alcuni parenti, ottiene un finanziamento da una banca accendendo un’ipoteca sulla sua casa. Così, avendo una capacità di spesa limitata, deve accontentarsi di acquistare macchinari meno moderni e veloci, perdendo in competitività e in capacità produttiva. Avendo pesanti rate da pagare e relativi interessi, deve praticare prezzi più elevati. Non avendo più risorse economiche, non può investire nella promozione della sua attività.
Nel frattempo, sulla stessa piazza, ha aperto un’altra tipografia: quella di Lucia che, potendo disporre di alcuni finanziamenti a fondo perduto ed altri a condizioni molto favorevoli, ha potuto dotarsi di macchinari più moderni ed evoluti. Questo le ha permesso di offrire prestazioni più elevate e a costi minori. Non dovendo pagare interessi elevati ha una redditività più alta, il che le permette nuovi investimenti, compresi quelli in attività promozionali.
Il risultato è che, in poco tempo, Mario è costretto a chiudere la propria attività, trovandosi pieno di debiti e, nuovamente, senza lavoro. Lucia, invece, sta pensando di trasferirsi in una sede più ampia.
Prima di trarre una conclusione dalla nostra storia, esaminiamo un’altra situazione.
Paolo e Monica sono due giovani disoccupati. Entrambi sono in possesso di una laurea breve in scienze economiche. Non riuscendo a trovare un lavoro continuativo pensano che un corso di specializzazione li possa aiutare a trovarne uno. Avendo letto un annuncio in merito sul giornale, entrambi si recano a chiedere informazioni.
Buon Giorno – saluta Monica – sono una giovane disoccupata e sono venuta a iscrivermi al corso di Assistenti di Direzione organizzato dalla Regione Lazio. Cosa devo fare?”. Dopo aver ricevuto risposta, conclude con “Bene. È proprio interessante. Mi iscrivo subito”.
Ora è il turno di Paolo di informarsi. “Buon Giorno. Sono un giovane disoccupato e sono venuto a iscrivermi al corso di Assistenti di Direzione organizzato dalla Regione Lazio. Cosa devo fare?”. “Mi dispiace – afferma categoricamente l’impiegato della Regione – ma questo è un corso organizzato per aiutare le donne a entrare nei livelli direttivi”. Ma allora – replica un furioso Paolo – lei vuole dirmi che l’unico motivo per cui non posso accedere a questo corso è perché non sono una donna?” “Sì, è proprio così”, riconosce l’altro con un certo imbarazzo.
 
È possibile chiamare tutto questo “pari opportunità”? Che cosa c’è di “pari” in situazioni come quelle descritte? L’una e l’altra non creano invece vere e proprie diseguaglianze, non costituiscono vere e proprie ingiustizie? Naturalmente la risposta che tutti forniscono è “Per gli uomini è più facile trovare lavoro, fare carriera, aprire un’impresa. Queste leggi servono a creare un riequilibrio che, oggi come oggi, è a svantaggio delle donne”. Peccato che queste persone dimentichino che Mario e Paolo non sono “gli uomini” e che Lucia e Monica non sono “le donne”, ma sono semplicemente quattro “persone” che, almeno in teoria, dovrebbero godere degli stessi diritti e degli stessi doveri. Per creare una fittizia “pari opportunità” tra le due impersonali e artificiose categorie “uomini” e “donne” si realizzano delle palesi disparità (e quindi ingiustizie) tra individui reali.
Sarebbe come dire “Poiché nel XIX° secolo i negri sono stati schiavi dei bianchi, ora, in nome delle pari opportunità, i bianchi dovranno essere schiavi dei negri per un uguale ammontare di anni”! Con ciò dimenticando, tra l’altro, che la schiavitù era pratica comune tra gli stessi negri e che a condurre alle navi negriere tanti poveri infelici erano spesso proprio altri negri appartenenti a qualche altra etnia o tribù. Si trascura altresì che la schiavitù è stata praticata anche tra bianchi e bianchi appartenenti a nazioni diverse. Non solo: persino tra persone appartenenti alla stessa nazione ma a classi sociali diverse. Come è possibile pensare di ricreare una qualche forma di “pari opportunità”?
Che il termine “pari opportunità” sia solo un inganno comunicativo è dimostrato sia dal semplice fatto che se si ribaltasse il genere tutti griderebbero allo scandalo e all’ingiustizia (ve l’immaginate qualcuno che semplicemente osasse organizzare un corso riservato agli uomini?), sia dal fatto che si usi questa espressione anziché quella corretta di “provvidenze a favore delle donne”. Ma questo suonerebbe a tutti molto meno nobile e ne dichiarerebbe la sua natura “di parte”.

Per quanto nobili possano essere le intenzioni (aiutare le donne a trovare un lavoro qualificato, accedere a ogni livello gerarchico, crearsi un lavoro autonomo, ecc.) la manipolazione del linguaggio rivela la volontà di manipolare le menti e la debolezza delle proprie argomentazioni. È un’attività eticamente condannabile in quanto intrinsecamente disonesta.  Alla fine, rende un pessimo servizio alla causa che dichiara di voler servire.

Sergio Zicari, Amministratore unico di Akón, si occupa di organizzazione di reti di vendita, di formazione del personale commerciale e non, di iniziative di marketing, di progetti di e-commerce, di ideazione e gestione di start-up. Ha lavorato come formatore, consulente, temporary manager e amministratore delegato. Membro del Direttivo FERPI per il Triveneto, scrive articoli per riviste, libri e per e-magazine sui temi della comunicazione, del marketing e delle vendite. (sergio.zicari@akon.it)