LAVORO - Giovani: mercato non assorbe le eccellenze
Il tasso di disoccupazione giovanile tra coloro che hanno conseguito un titolo di studio universitario è sensibilmente aumentato rispetto ai dati a disposizione per il 2007: infatti, si è passati dal 16,5% al 21,9% di disoccupazione per le laurea di primo livello, e dal 13,9% al 20,8% per le laurea specialistiche. Sono dati emersi dal dodicesimo rapporto di Alma Laurea, il consorzio interuniversitario che lavora come "ponte" tra Università e mondo del lavoro e delle professioni. Il fatto è che il mercato del lavoro italiano non riesce ad assorbire le eccellenze (profili professionali con una formazione medio-alta, il più delle volte con perfezionamento o specializzazione conseguita all'estero e conoscenza ottimale di uno o più lingue straniere) che non riescono a collocarsi nel tessuto produttivo italiano poiché questo non ha gli strumenti per recepirli e valorizzarli. La fotografia della condizione occupazionale degli universitari italiani è servita da base per l'interrogazione che il deputato di Futuro e libertà per l'Italia (FLI), Aldo Di Biagio, ha rivolto al ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, per sapere "se si intendano promuovere campagne informative volte a diffondere criteri di selezione del personale innovativi e più efficaci da parte del sistema delle imprese, che prevedano come priorità la valorizzazione del merito e delle capacità del tutto svincolata dal tipo di laurea o formazione conseguita, dal sesso del candidato e dalla sua capacità di rientrare o meno nei parametri simil-psicologici dei selezionatori, così favorendo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro e se si intenda avviare un'indagine ministeriale sull'inserimento dei giovani laureati nel mercato del lavoro e sui limiti che ne condizionano le dinamiche".
Nell'illustrare le criticità, il deputato ha sottolineatocome siano i profili femminili a essere il più delle volte penalizzati, evidenziando che negli ultimi due anni si sta assistendo a una preoccupante divaricazione del gap tra maschi e femmine sul versante della disoccupazione dei giovani laureati poiché "per quanto riguarda molte posizioni di lavoro valorizzate da appositi annunci sebbene rivolte ad ambosessi ai sensi della legge n. 903 del 1977, esistono precise e inderogabili linee guida dettate dalle aziende ai cacciatori di teste o alle agenzie interinali, in base alle quali viene imposta la ricerca esclusivamente di profili maschili. Molte candidate sono costrette a vani e fittizi percorsi di selezione, spesso anche lontano dai propri domicili, oltre che a sostenere i relativi costi di viaggio a proprio carico". Inoltre, "molto spesso sono chiamati ad analizzare le candidature e a selezionare i profili, professionisti che non hanno adeguati strumenti e competenze nel settore in cui si ricerca il candidato: esauriente è il caso di selezionatori con qualifica di psicologo del lavoro chiamati a giudicare l'adeguatezza di un candidato con laurea in ingegneria dei materiali o biologia marina". Infatti, "le attuali dinamiche di selezione - soprattutto nelle grandi aziende - tendono a valorizzare inevitabilmente e paradossalmente chi per fortuna o per astuzia si comporta, si muove, sorride o altro secondo le logiche di pratiche pseudo-psicologiche che hanno davvero poco a che vedere con la reale capacità professionale, tecnica e scientifica del candidato selezionato". E non solo. "A ciò si aggiunge il fatto che molte selezioni, che si contraddistinguono in snervanti e farraginosi iter in cui quasi mai si mette alla prova la competenza del profilo, constano anche di test in cui i candidati sono chiamati a rispondere a domande che nulla hanno a che vedere con il profilo per cui si sono candidati e con la formazione universitaria richiesta negli annunci: ad esempio problemi di matematica o finanza internazionale o addirittura algebra per posizioni nel settore della comunicazione". Passando poi a esaminare "i parametri stringenti a cui i profili dei candidati devono attenersi per essere in linea con quelli ricercati: per tutte le aree operative - ad eccezione di quelle tecniche - della maggior parte delle aziende italiane, aree che vanno dal settore amministrativo, commerciale, passando per il settore acquisti e risorse umane sembrano essere ricercati esclusivamente laureati con un età non superiore ai 26/28 anni, con un'esperienza di almeno due anni e soprattutto con una laurea in ingegneria gestionale o economia e commercio anche se talvolta per le posizioni aperte sarebbero più indicate formazioni attinenti ad altri percorsi universitari. Dunque a netto svantaggio della formazione e della specificità settoriale. In alternativa a quanto sopra indicato, risultano essere appetibili alle grandi aziende italiane esclusivamente quei profili che hanno conseguito un master post-laurea sponsorizzato dalle stesse aziende, e che il più delle volte risulta oneroso e insostenibile per buona parte dei giovani laureati privi di risorse da investire nella propria formazione".
Secondo Di Biagio, "un'ulteriore causa del mancato recepimento di eccellenze nel comparto industriale produttivo italiano va ricercato nell'esponenziale ridimensionamento dei finanziamenti, pubblici e privati, destinati alla ricerca, il principale motore dello sviluppo economico di un Paese" ma "l'incapacità di gestire le eccellenze, unita all'inadeguatezza dei meccanismi di selezione nel settore privato e all'incapacità di valorizzare la microsettorialità formativa contribuiscono anche questi a massimizzare le criticità dell'economia italiana, accrescendo i limiti della competitività industriale del nostro Paese e la capacità dei nostri comparti produttivi di essere realmente sfidanti a livello internazionale, oltre che favorire i tassi di disoccupazione" fra i giovani che per età, sesso, oppure mancata sintonia psico-relazionale con il selezionatore" e via dicendo "sono coloro che vanno a formare quello stuolo di cervelli in fuga, che poi si ha il piacere di ritrovare nel management delle aziende straniere".