DiCinema: la nuova Hollywood
Quando la vita privata di un attore può essere comune a tanti dei grandi nomi di celebrità che uniscono il loro nome a quella sregolatezza che facilmente può diventare sinonimo di talentuoso talento. A Philip Seymour Hoffman (classe 1967) è bastata una carriera di primaria imposizione nell’ingombrante cerchia delle star hollywodiane, forgiato dalla sua voglia di calcare le scene di quel teatro che lo vede uscire dai corsi di arte drammatica con le sue prime partecipazioni a quel cinema indipendente che lo mette in rilievo per quel primo ruolo importante scelto proprio da Martin Brest per il suo fortunato Scent of a Woman, al fianco di Al Pacino, per concatenare una ricca serie di successi che non hanno mai smesso di mettere in rilievo quell’istintiva capacità di dare forma e vita a quel carattere di attore che identifica sempre l’originalità del personaggio, solo come i grandi attori hanno la fortuna di esserlo. Questo accade anche per il successivo Getaway diretto da Roger Donaldson, tanto per impreziosire un ennesimo remake comprimario di Alec Boldwin e Kim Basinger, per essere sempre individuato come il cardine essenziale per mettere in risalto i pregi di quella commedia che ha sempre distinto le scelte ricadute sull’attore, e Amarsi di Luis Mandoki arricchisce in meglio il cammino di Hoffman, al fianco di Meg Ryan e Andy Garcia. Consacrato ormai all’olimpo dello star system, il successo originale dell’attore arriva con l’inedito cocktail diretto dalla prolifera coppia stabilita dai fratelli Coen, nel caotico film feticcio Il Grande Lebowsky, fiera in celluloide nel monito generazionale tutto anni settanta, complice la stessa immedesimazione di un grande Jeff Bridges diretto in puro stile nichilista. Stessa sorte per gli ingombranti Patch Adams e Magnolia, sempre nel monito della commedia drammatica a cui sanno sempre di far riferimento, e con Tom Cruise arriva sino al terzo episodio di Mission Impossible, tanto per confermare la sua voglia di esserci sempre. Sidney Lumet lo sceglie per il non facile ruolo in Onora il padre e la madre, ma il riconoscimento più prestigioso tocca al film diretto da Bennett Miller, Truman Capote – A sangue freddo, che lo vede insignito della più alta onoreficenza come esponente del cinema mondiale, sia nell’Oscar conferitogli dall’Academy Awards e premiato dalla British Academy of Film and Television Arts. Ruoli di prim’odine confermati anche dai riusciti I Love Radio Rock di Richard Curtis e dall’originale drammaticità espressa dal cameo in grande stile de Il Dubbio, al fianco di una imponente Meryl Streep in vena di importanti candidature. Una vita privata che lo ha visto legato alla costumista Mimi O’Donnell, da cui ha avuto tre figli, per non offuscare quella fine prematura arrivata il 2 febbraio 2014, trovato senza vita e con un laccio emostatico e siringa ancora nel braccio, per quell’eroina che lo ha trascinato nell’abisso senza fine di una carriera che non poteva permettergli di sentirsi secondo a nessuno.