Le persone non servono: lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale
“La tua auto che si guida da sola potrebbe investire un cane per salvarti la vita (…). Ma se dovesse scegliere se passare sopra una coppia di anziani o un gruppo di bambini che attraversano la strada?”
“Le persone non servono: Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale” è un libro di Jerry Kaplan, uscito alla fine del 2016 per Luiss Press.
Tutti i big della tecnologia oggi stanno lavorando alacremente sugli investimenti per l’intelligenza artificiale.
Un mondo affascinante ma che non può non far passare un brivido di inquietudine quando si pensa agli scenari che si possono aprire, ispirati da tanti film di fantascienza.
La realtà però è che non ci aspettano robot Terminator o macchine che prendono il controllo violentemente dell’umanità ma una schiera di intelletti artificiali che già oggi influenzano molte realtà quotidiane.
Kaplan nel suo libro fa scorrere parecchi di questi attori invisibili davanti agli occhi del lettore: dal trading di borsa automatizzato agli algoritmi della pubblicità digitale, sempre più dati vengono macinati con una capacità con cui gli esseri umani non possono competere alla pari.
E qui inizia il problema della diseguaglianza percepita: se uomini e macchine competono sullo stesso territorio per la prima volta sono le persone ad apparire svantaggiate nella competizione.
Senza contare poi il tema della morale, che gli intelletti sintetici non possono avere, e della responsabilità degli atti illeciti: di chi è la colpa, della macchina o di chi l’ha programmata?
Tutti temi di grande attualità di cui ho avuto modo di parlare anche in due recenti recensioni di altri autori, Il mondo dato. Cinque brevi lezioni di filosofia digitale di Cosimo Accoto e Technology Vs. Humanity: The Coming Clash Between Man and Machine del futurologo Gerd Leonhard.
A questo punto però Kaplan si sposta su di un aspetto controverso della sua trattazione, ossia il fatto che l’automazione abbia acuito ancora di più il divario tra ricchi e poveri.
Probabilmente parlare a tal proposito di luddismo è forse eccessivo, anche perché Kaplan di base ha una visione ottimistica della tecnologia, ma quando cita uno studio dell’Università di Oxford ci sottolinea che “il 47 per cento del totale degli impieghi negli Stati Uniti è ad alto rischio di automazione significativa”. Compresi i lavori di tipo intellettuale.
Va dato atto all’autore che all’allarme viene fatta seguire nella trattazione una serie possibili soluzioni, dai prestiti per chi segue corsi di formazione agli sgravi fiscali per le imprese che sostengono questo genere di programmi.
Alla fine della lettera una cosa resta come messaggio importante: non si può lasciare questo nuovo mondo all’auto regolazione ma occorre modellare il futuro fin da oggi.