Ancora sulla situazione dei Corsi di Comunicazione
Il tema delle lauree specialistiche è molto caldo e ne ho avuto conferma dalle reazioni che ci sono state sul sito dopo l'articolo provocatorio che avevo pubblicato in proposito.
Più in generale però sul nostro sito si parla spesso della situazione complessiva dei corsi di Comunicazione in Italia.
Per questo ho drizzato subito le antenne quando ho visto come primo articolo della newsletter Ferpi del 13 ottobre un pezzo intitolato "13.000 studenti di Scienze della Comunicazione solo a La Sapienza di Roma: un successo? Qualcuno dice un disastro. Il preside De Masi si dimette. Ma non è così dappertutto, afferma Invernizzi. Parliamone".
L'articolo in questione (http://www.ferpi.it/frame.asp?Page=diario_vis.asp&Frameset=Diario&NC=71021&Cod=10122004142357) inizia con una notizia che forse avrete sentito anche voi, ossia le dimissioni di Domenico de Masi da preside di Scienze della Comunicazione a La Sapienza.
Un fatto abbastanza clamoroso, visto che il sociologo aveva lanciato grandi progetti, tra cui l'apertura notturna delle strutture universitarie, e si era dimostrato estremamente propositivo e attivo nel potenziare la facoltà di SdC più grande d'Europa.
Nell'intervista riportata sul sito Ferpi trovate i motivi di queste dimissioni, in sintesi comunque De Masi lamenta un corpo docente troppo esiguo, strutture carenti e mancanza di investimenti.
Questa situazione dunque si inserisce nel filone, ormai "classico", della riflessione sul numero e sull'utilità dei corsi in Comunicazione nel nostro paese.
Chi frequenta Comunitazione sa bene che personalmente mi sono sempre dichiarato soddisfatto dal percorso di studi che ho concluso e che ho cercato spesso di controbattere alle lamentazioni di chi diceva che Scienze della Comunicazione (e affini) è un corso inutile.
Bisogna però riconoscere che negli ultimi anni, specie con l'avvento del Nuovo Ordinamento, il numero dei corsi e delle sedi si è moltiplicato a dismisura e che sicuramente non tutti questi atenei oggi sono in grado di offrire una didattica all'altezza.
Anzi, per essere più esatti alcuni corsi, non faccio nomi ma ho visto certe situazioni con i miei occhi, sono delle autentiche truffe, visto che sotto i nomi delle materie curricolari si insegnano cose che con la comunicazione non hanno nulla da spartire.
Per questo sono d'accordo con il Prof Invernizzi che nello stesso articolo invita a considerare come nel nostro Paese la situazione dei corsi in comunicazione sia estremamente variegata e dunque l'equiparazione data dal valore legale del titolo di studio sia fuorviante e non si possano valutare le capacità di tutti i comunicatori sulla base della preparazione riscontrata in uno specifico ateneo.
Dunque Invernizzi suggerisce ai giovani che devono iscriversi e alle imprese che devono assumere "di valutare con molta attenzione gli atenei e i singoli corsi di laurea".
Giustissimo ma credo che la soluzione del problema sia a monte e consista nell'eliminare la gran quantità di corsi inadeguati che "inquinano" il mercato dell'università e dell'occupazione con persone che si rivelano, non per colpa loro, assolutamente inadeguate.
Oggi come oggi infatti i corsi di comunicazione devono ancora essere pienamente capiti dal mondo del lavoro e, proprio per questo, dovrebbero immettere nel mercato professionisti eccellenti in modo da poter stimolare gradualmente un reale allargamento della richiesta.
Questo miglioramento passa anche per scelte dolorose, come la restrizione degli accessi e la limitazione del numero di corsi presenti sul territorio, in modo da concentrarvi i migliori docenti.
Lo so che può sembrare una lesione al diritto allo studio ma non credo che sia un provvedimento peggiore di quello che consente a migliaia di studenti di iscriversi a corsi truffa che danneggiano loro e insieme i loro colleghi degli Atenei più seri.
Riassumendo quindi io credo che per la comunicazione ci sia un mercato e che questo possegga anche margini di crescita ma l'unico modo per farlo decollare è investire sulla qualità.
Il processo dunque dovrebbe essere il seguente: pochi corsi di eccellenza -> buon riscontro da parte del mercato -> allargamento dell'offerta di lavoro -> aumento dei comunicatori che possono essere assorbiti (e dunque dei corsi e del numero di ammessi agli stessi).
Attualmente invece abbiamo: aumento continuo dei corsi -> caduta progressiva della qualità -> peggiore riscontro del mondo del lavoro -> stagnazione o addirittura recessione dell'offerta di occupazione.
Fin qui le mie idee, preferisco però non dilungarmi e spero invece che queste poche cose che ho detto possano essere il punto di partenza per sentire le vostre impressioni e far partire il dibattito.
GIANLUIGI ZARANTONELLO